Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Luglio 2005

Sentenza 16 gennaio 2003, n.5075

Corte di Cassazione. Sezioni Unite. Sentenza 16 gennaio 2003, n. 5075: “Gratuito patrocinio: responsabilità disciplinare dell’avvocato che si rifiuti di difendere la parte ammessa al beneficio”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Vincenzo CARBONE – Presidente di Sez.
Dott. Vittorio DUVA – Presidente di Sez.
Dott. Paolo VITTORIA – Consigliere
Dott. Antonino ELEFANTE – Consigliere rel.
Dott. Alessandro CRISCUOLO – Consigliere
Dott. Vincenzo PROTO – Consigliere
Dott. Michele VARRONE – Consigliere
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Consigliere
Dott. Roberto Michele TRIOLA – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 17708-2002 del R.C. AA.CC, proposto da:
ALTAMURA AVV. MICHELE, elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere dei Mellini n. 7, presso lo studio dell’Avv. Carlo Zaccagnini, difeso da se stesso.
RICORRENTE

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI FIRENZE. PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE. INTIMATI

avverso la decisione n. 62-2002 del Consiglio Nazionale Forense depositata il 13.05.2002 e notificata il 29.05.2002.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16.01.2003 dal Cons. Dott. Antonino Elefante.
Sentito il P.M. in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Domenico Iannelli che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto del ricorso.

Fatto

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze iniziava procedimento disciplinare a carico dell’avv. Michele Altamura in ordine a due seguenti addebiti.
1) “aveva ricusato l’incarico di difesa della Sig.ra Rosica Tohaneanu, ammessa al patrocinio gratuito con provvedimento in data 30 maggio 1999, della commissione competente, allegando meri motivi di “coscienza personale” e senza aver sottoposto i motivi della ricusazione all’esame della commissione per il Gratuito Patrocinio al fine dell’accertamento della loro gravità, come prescritto dall’art. 31 del DPR 30 dicembre 1923 n. 3282.” 2) “ricevuto nel 1997 incarico professionale dalla Sig.ra Giulia Lange in una controversia locatizia già pendente dinanzi al Pretore di Firenze, chiedeva ed otteneva in più occasioni compensi per importi di gran lunga eccedenti le tariffe professionali (oltre 33 milioni);
“inoltre, chiedeva e riceveva nel giugno 1998 l’ulteriore somma di L. 15.000.000 per definire con la controparte la vertenza in via transattiva, omettendone poi la restituzione, non essendosi perfezionata l’asserita transazione;
“esponeva, anzi, richieste per ulteriori onorari e così tratteneva gran parte della somma di L. 15.000.000, di cui sopra, rimettendo alla cliente, solo dopo l’intervento di altro avvocato e nel dicembre 1999, la somma di L. 4.106.591;
“affermava contrariamente al vero, di aver provveduto alla registrazione della sentenza, peraltro sfavorevole alla sua cliente, e di aver pagato il relativo importo;
“per altra causa interponeva tardivamente un atto di appello, ciò non di meno consigliando la cliente a proporre ricorso in Cassazione;
“ometteva la restituzione degli atti e documenti malgrado le richieste.” All’esito del giudizio, il C.O.A. di Firenze infliggeva all’avv.
Altamura la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di tre mesi, riconoscendolo colpevole degli addebiti ascrittigli.
Il Consiglio Nazionale Forense, con decisione n. 62-2002 depositata il 13.05.2002 e notificata il 29.05.2002, rigettava il ricorso proposto dall’avv. Altamura.
In ordine alla prima incolpazione, relativa al rifiuto di assumere l’incarico demandatogli dalla Commissione del Gratuito Patrocinio, osservava il C.N.F. che non costituisce “grave e giustificato motivo” la pretesa mancanza di rapporto fiduciario, in considerazione dell’asserito atteggiamento arrogante e sgarbato della cliente, concernente l’incarico una difesa d’ufficio, il cui rapporto non si instaura per scelta dell’assistito, sicché il dovere di difesa non può venir meno per sentimenti di antipatia o altro tra avvocato e patrocinato, fondati sul carattere di quest’ultimo, trattandosi di dato indifferente.
Quanto alla seconda incolpazione, il C.N.F. riteneva inconsistenti e pretestuose le giustificazioni addotte dall’avv. Altamura, non avendo pregio il tentativo di addurre l’esistenza di una convenzione intervenuta con la cliente, diretta ad ovviare all’obbligatorietà delle tariffe, in mancanza di qualsiasi prova di tale accordo. In realtà l’avv. Altamura aveva preteso obiettivamente compensi eccessivi; aveva trattenuto indebitamente somme imputandole ad onorari; non aveva adempiuto al dovere di fatturazione; non aveva altresì assolto con diligenza e competenza al suo incarico, allorché aveva proposto ricorso per Cassazione pur essendo ben consapevole di aver tardivamente interposto appello.
In conclusione, il C.N.F. riteneva l’avv. Altamura responsabile di tutti gli addebiti contestatigli.
Contro tale decisione l’avv. Altamura ha proposto ricorso per cassazione, articolato su due motivi, chiedendo in via cautelare la sospensione, che è stata rigettata, della sanzione disciplinare inflittagli.
Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione non si sono costituiti.

Diritto

1. Il ricorso contiene i due seguenti motivi.
1.1. Violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 31 e 4 D.R. 30.12.1923 n. 3282.
In ordine all’addebito di aver rifiutato l’incarico della difesa di persona ammessa al gratuito patrocinio, l’avv. Altamura sostiene che il proprio comportamento non è stato “negligente” (come richiesto dall’art. 4 del R.D. n. 3282-23 per poter essere sottoposto a sanzione disciplinare), poiché aveva immediatamente informato, con lettera inviata il 28.7.1999, la Commissione della impossibilità di proseguire nell’espletamento dell’incarico per “motivi di coscienza personale”. Afferma il ricorrente che non sarebbe logico, ne giuridicamente corretto, come sostenuto nella decisione impugnata, ritenere che il rapporto fiduciario cliente – avvocato costituisca un “dato indifferente”, essendo consentito al difensore di poter non patrocinare una causa per varie ragioni, non ultima la mancanza del rapporto fiduciario con il cliente, basandosi questo sull’intuitus personae. In realtà la Commissione avrebbe dovuto convocare l’avv.
Altamura onde vagliare la serietà e congruità delle ragioni addotte in ordine al rifiuto di assumere un incarico che il professionista non si sentiva di sostenere. Pertanto, avendo l’avv. Altamura tempestivamente informato la Commissione della personale impossibilità a svolgere l’incarico, non era possibile ravvisare l’esistenza di quella “negligenza” che è presupposto precettivo della norma sanzionatoria.
1.2. Violazione di legge per eccesso di potere e vizio di motivazione.
Il ricorrente assume che la decisione del C.N.F., similmente a quella del C.O.A. di Firenze, sarebbe caratterizzata da una evidente omissione di motivazione, correlata ad inesistente valutazione degli elementi utili al giudizio. Al riguardo il ricorrente, in ordine ai fatti costituenti l’addebito sub 2), assume:
a) tra il professionista e la cliente (Lange) era intervenuto un accordo che consentiva la richiesta di somme non conformi a tariffe: l’esistenza di tale accordo avrebbe dovuto escludere la responsabilità dell’avv. Altamura per la contestazione di aver preteso compensi eccedenti le tariffe professionali;
b) vi era stato consenso all’uso della somma di L. 15.000.000, precedentemente versata onde addivenire ad una transazione, per il pagamento di spese giudiziarie (registrazione di una sentenza e pagamento di una c.t.u.), di cui la cliente aveva avuto puntuale notizia;
c) l’avv. Altamura aveva restituito la rimanente somma di L. 4.106.591;
d) la somma complessiva di L. 23.500.000 versata dalla Lange era stata regolarmente fatturata;
e) l’appello non poteva essere dichiarato inammissibile per decorrenza del termine breve ad impugnare, perché la sentenza del Pretore era stata notificata in forma esecutiva unitamente al precetto direttamente alla parte: il ricorso per Cassazione contro la sentenza del Tribunale si basava sul motivo che, ai sensi degli artt. 326 e 327, ultimo comma, c.p.c., il termine breve ad impugnare non decorre nel caso che la sentenza sia stata notificata in forma esecutiva direttamente alla parte.
Il C.N.F. avrebbe ignorato tutte queste circostanze affermando la responsabilità dell’avv. Altamura con motivazione insufficiente e carente.
2 Il ricorso è infondato.
2.1. In ordine al primo motivo osserva il Collegio che è deontologicamente censurabile, in quanto viola il dovere di difesa (art. 11 del Codice Deontologico Forense), il comportamento del professionista che, essendo stato designato dalla Commissione, difensore di una parte ammessa al gratuito patrocinio, rifiuti ingiustificatamente di prestare ovvero di continuare a svolgere l’attività difensiva.
I meri “motivi di coscienza personale” senza alcuna esplicazione non integrano i “motivi gravi e giustificati” voluti dalla legge; onde il riferimento ad essi rende ingiustificato il rifiuto del professionista.
Pertanto viene meno al dovere etico e giuridico di provvedere alla difesa dei non abbienti e merita perciò censura l’avvocato che, designato dalla Commissione per il gratuito patrocinio, si rifiuti, adducendo motivi pretestuosi, di svolgere l’incarico di difensore d’ufficio.
Del tutto inconferente è il richiamo, da parte del ricorrente, all’intuitus personae, essendo nel caso specifico l’incarico non di fiducia bensì d’ufficio e obbligatorio, ovvero il riferimento alla mancanza di “negligenza” per aver informato la Commissione, riguardando la violazione non l’omessa comunicazione ma il rifiuto a svolgere l’attività di gratuito patrocinio.
2.2. Quanto al secondo motivo, va osservato che le decisioni del Consiglio Nazionale Forense, ricorribili per cassazione a norma dell’art. 56 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, sono suscettibili di sindacato da parte della Corte di Cassazione, quanto al vizio di motivazione, in base all’art. 111 Cost. e soltanto in quanto la motivazione manchi affatto o non si presenti logicamente ricostruibile o sia priva di congruenza logica rispetto ai fatti accertati dal giudice, quali risultano dalla decisione impugnata (v. fra le tante: Sez. Un. 22.3.1999, n. 175; 26.1.1998 n. 764).
Nel caso specifico il C.N.F. ha ampiamente giustificato il proprio convincimento in ordine alla responsabilità disciplinare dell’Avv.
Altamura, allorché ha affermato che il professionista aveva preteso dalla cliente Giulia Lange compensi eccedenti notevolmente le tariffe professionali, aveva indebitamente trattenuto somme di denaro consegnategli dalla Lange per transigere una lite, aveva tardivamente proposto un appello, aveva rifiutato di consegnare atti e documenti da restituire alla cliente. L’impugnata sentenza ha anche precisato che tutte le giustificazioni addotte dall’Avv. Altamura erano risultate infondate: in particolare non era stata data alcuna prova nè dell’esistenza di un accordo tra il professionista e la cliente (Lange) di deroga alle tariffe professionali, nè di un consenso a poter trattenere la somma di L. 15.000.000 ricevuta per una transazione poi non effettuata.
Per quanto riguarda, infine, le osservazioni del ricorrente sulle circostanze di fatto (pagamento spese giudiziarie, restituzione di somme, fatturazione, appello, etc.), la sentenza impugnata non è priva di motivazione onde si presenta incensurabile per le ragioni sopra dette.
3. Alla stregua delle considerazioni esposte, il ricorso va, quindi, rigettato.
Non si deve emettere alcun provvedimento sulle spese del giudizio, perché gli intimati non si sono costituiti, nè hanno partecipato alla discussione orale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione.