Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Luglio 2005

Sentenza 28 maggio 2002, n.4422

Consiglio di Stato. Sezione VI. Sentenza 28 maggio 2002, n. 4422: “Gestore di scuola privata il cui servizio non è valutabile per l’ammissione alla sessione riservata di abilitazione”.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 5451 del 2001 proposto da Rosaria LEACI, rappresentata e difesa dall’Avv. Franco Carrozzo, con domicilio eletto in Roma, viale G. Cesare n. 95, presso l’Avv. Eduardo Bruno

contro

il Ministero dell’istruzione ed il Provveditorato agli studi di Lecce, rispettivamente in persona del Ministro e del Provveditore in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui sono per legge domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per l’annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia,
Sezione di Lecce, n. 1158 del 16 marzo 2001, notificata l’8 maggio 2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione scolastica appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 28 maggio 2002, il Consigliere Chiarenza Millemaggi Cogliani; uditi, altresì, l’avv. Carrozzo e l’Avvocato dello Stato Ajello;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

1. L’attuale appellante ha presentato domanda di ammissione alla sessione riservata per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola materna, disciplinata dall’O.M. n. 153 del 15 giugno 1999, documentando il servizio di insegnamento reso, fra gli anni scolastici 1985/86 e 1994/95, siccome prestato in scuola materna autorizzata, attualmente costituita in società in nome collettivo, in seno alla quale rivestiva posizione di socia.
Con il provvedimento impugnato, il Provveditore agli studi di Lecce la escludeva dalla procedura in quanto priva del requisito di cui all’art. 2 punto 1 lett. a) dell’O.M. n. 153/99 in quanto il servizio prestato presso la scuola materna in questione non si sarebbe evinto il versamento dei contributi di assistenza e previdenza.
L’interessata, ritenendo che la sua partecipazione alla società titolare della scuola la esonerasse dal versamento dei contributi, impugnava davanti alla Sezione di Lecce il provvedimento di esclusione, deducendo, con tre separati motivi, violazione e falsa applicazione delle OO.MM. nn. 153/99 e 134/99, ed eccesso di potere, errore nei presupposti, irrazionalità, illogicità, difetto di istruttoria e violazione del giusto procedimento.
Con successivo ricorso la stessa interessata impugnava la decisione emessa su ricorso gerarchico. Deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 20 della L. n. 1034 del 1971 e dei principi e delle regole generali in tema di impugnazione gerarchica e giurisdizionale dello stesso provvedimento ed eccesso di potere (I motivo), e reiterando, sotto il profilo della illegittimità derivata, i medesimi motivi di impugnazione dedotti contro l’atto originariamente lesivo.
Con sentenza n. 1157 del 16 marzo 2001, la Sezione adita del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, riuniti i ricorsi, ha respinto quello portante il n. 726 del 2000, direttamente proposto avverso il provvedimento di esclusione ed ha dichiarato improcedibile il secondo (n. 1290/2000) per sopravvenuto difetto di interesse, in considerazione della inutilità pratica dell’eventuale accoglimento.
2. Avverso l’anzidetta sentenza propone appello l’interessata denunciando l’erronea intelligenza delle risultanze processuali da parte del giudice di primo grado, che non avrebbe tenuto nel debito conto l’irrilevanza della posizione di socia della stessa scuola nella quale l’interessata ha prestato il servizio utile ai fini della partecipazione alla sessione riservata di esami, nell’economia del provvedimento impugnato con il primo dei ricorsi ed anche di quello successivo di riesame, i quali si baserebbero esclusivamente sulla omessa indicazione, nel certificato, dell’Ente previdenziale presso il quale era stata assolta la prestazione contributiva. Erronea sarebbe, poi, la conclusione secondo cui – pur affermata l’irrilevanza della certificazione contributiva, per i fini che interessano – mancherebbe in capo alla ricorrente il requisito di servizio, per essere, quello da lei prestato nella qualità, non equiparabile al servizio di insegnamento nella scuola statale. Da nessuna parte della fonte primaria e degli atti applicativi si rinverrebbe una regola come quella indicata nella sentenza appellata che possa indurre a ritenere non valido il servizio reso dallo stesso gestore della scuola.
Conclude pertanto la ricorrente per l’accoglimento dell’appello e l’annullamento o, comunque, la riforma della sentenza appellata.
3. Si è costituita, resistendo all’impugnazione, l’Amministrazione scolastica e, successivamente, la causa, chiamata alla pubblica udienza del 28 maggio 2002, è stata trattenuta in decisione.

Fatto

1. Con l’appello in esame l’interessata – la quale è stata esclusa dalla sessione riservata di esami di abilitazione per l’insegnamento nella scuola materna, per mancanza del requisito previsto dall’art. 2, punto 1, lett. a) dell’ordinanza ministeriale n. 153 del 1999 – imputa al giudice di primo grado di avere spostato, con la sentenza impugnata, i termini della questione posta con i ricorsi introduttivi del giudizio, coprendo con argomenti ostativi, non enunciati né nel provvedimento per primo impugnato né in quello di riesame, le ragioni dell’esclusione che, nel caso in esame sarebbero state fatte dipendere soltanto dalla mancata indicazione, nella certificazione del servizio, dell’Ente al quale sono stati versati i contributi previdenziali e non invece dalla intrinseca mancanza del requisito, per la posizione rivestita dalla interessata nella società che gestisce la scuola nella quale è stato prestato il servizio.
2. L’appello pone una delicata questione pregiudiziale, dal momento che non risulta impugnato il capo della sentenza che dichiara improcedibile il secondo dei ricorsi proposti dall’interessata, e cioè quello contro la decisione del Ministero dell’istruzione, n. 1153 del marzo 1152, con il quale è stato respinto – dopo la proposizione del ricorso giurisdizionale – il ricorso gerarchico proposto avverso il decreto di esclusione (ric. N. 1290/2000 R.R. della Sezione di Lecce del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia).
Ciò in quanto – sebbene la proposizione del ricorso giurisdizionale, quando ancora non è intervenuta la decisione del ricorso gerarchico, nè è decorso il termine per la formazione del silenzio rigetto, contiene una implicita rinuncia dell’interessato alla tutela giustiziale – tuttavia non può considerarsi tamquam non esset la decisione emessa in sede di riesame dall’Autorità sovraordinata (già investita dal privato, ma non per questo privata dell’autonomo potere di autotutela), allorché, come nella specie, la decisione medesima sia dipesa dall’acquisizione di elementi ulteriori di giudizio, come risulta dall’espresso richiamo alla relazione “nel merito” fatta pervenire dall’Ufficio scolastico e “la documentazione utile alla sua istruttoria” unitamente alla considerazione ulteriore “che ai fini dell’ammissione al concorso di cui si tratta non è sufficiente il servizio prestato dall’interessata dall’a.s. 1989/90 ed il 25 maggio 1999, così come risulta dal certificato prodotto contestualmente all’istanza di partecipazione al concorso” e viene dunque a configurarsi anche come autonoma manifestazione di volontà dell’Autorità decidente, non meramente confermativa del provvedimento impugnato, ancorché ne ripeta il contenuto lesivo.
Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi di nessuna utilità per l’interessata, l’impugnazione del capo di sentenza che decide il ricorso n. 726/2000 contro l’originario provvedimento di esclusione, restando comunque in vita, con effetto preclusivo proprio, il successivo provvedimento del Ministero della pubblica istruzione che esclude la possibilità di ammettere la candidata alla sessione riservata di cui trattatasi per difetto del titolo di servizio richiesto.
3. Chiarito tale aspetto della questione non può tuttavia esimersi la Sezione dal considerare che la stessa ricorrente ha investito il Tribunale della questione relativa alla validità del servizio prestato quale facente parte della società in nome collettivo titolare della scuola presso la quale ha prestato servizio.
Con il primo motivo di impugnazione del ricorso di primo grado la ricorrente ha infatti dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 dell’O.M. n. 153 del 1999 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione del giusto procedimento, sotto il profilo della mancata assegnazione a detta interessata di un congruo termine per la regolarizzazione della documentazione; tanto infatti le avrebbe consentito di provare la sua qualità di socia nella gestione della scuola e per tale ragione, l’esonero dal versamento dei contributi. Il secondo motivo collegato al primo deduce la mancanza di differenziazione sul piano del servizio, fra scuole statali e scuole non statali, con riferimento alla irragionevolezza della documentazione richiesta, mentre soltanto con il terzo profilo è denunciato, in via gradata, l’art. 4, comma 17 del bando, nella parte in cui è stato dall’amministrazione interpretato nel senso di precludere la partecipazione alla sessione riservata di esami di abilitazione ai richiedenti che non fossero stati in grado di provare l’avvenuto versamento dei contributi.
Posta in questi termini la controntroversia, da parte della stessa interessata, del tutto coerentemente con tale impostazione il giudice di primo grado ha attribuito rilievo preponderante ed assorbente al problema della sussistenza del requisito di servizio, alla luce, innanzitutto, delle stesse affermazioni della parte ed anche, successivamente, degli elementi istruttori emersi in corso di causa, sulla base della relazione del Provveditore e della decisione ministeriale successiva, che nega in radice la sussistenza del suddetto requisito, essenziale ed indispensabile ai fini della partecipazione alla sessione riservata, indipendentemente dalla certificazione.
3. Ed invero il procedimento logico seguito dal giudice di primo grado appare condivisibile, sia nell’ordine di priorità attribuito alle censure della parte sia, anche, in ciò che è volto a negare affetti sostanziali e, dunque, immediata lesività, alla clausola che impone una certificazione, del servizio prestato in scuole non statali, comprensiva degli estremi della contribuzione previdenziale: ciò non tanto, perché siffatta formalità si riferisse esclusivamente per i certificati rilasciati dalla scuola e non anche a quelli rilasciati dal Provveditorato, quanto piuttosto, per l’assorbente considerazione della mancanza di sanzione per la sua inosservanza (“a pena di esclusione”).
Come fatto rilevare da questo giudice di appello in differente fattispecie (cfr. Sez. VI, n. 1033/02, citata dalla stessa interessata nell’ultimo dei suoi scritti difensivi), la disposizione in parola, piuttosto che introdurre una specificazione del requisito, non richiesta dalla fonte primaria, si limita ad individuare, soltanto, uno strumento di prova indiretta, della veridicità del rapporto di lavoro dipendente fra l’insegnante e l’istituzione privata che rilascia la certificazione, consistente appunto nel versamento dei contributi, che lascia presumere lo svolgimento di un servizio di insegnamento con i connotati richiesti dalla legge.
La Sezione, invero, ha in più di un’occasione osservato che dal mancato versamento dei contributi non può desumersi in via diretta e immediata, se non l’inadempienza, da parte del datore di lavoro, agli obblighi contributivi nascenti dal rapporto, ma non è stato negato, al contrario, che dal suddetto elemento possano ricavarsi presunzioni semplici suscettibili, dunque, di ogni mezzo di prova contraria, idonea a provare la “prestazione di un servizio” di insegnamento utile, e cioè di un servizio equiparabile a quello prestato dagli insegnanti della scuola pubblica, in cui la dipendenza dal gestore ha rilievo per gli obblighi che lo stesso ha assunto, nei confronti dell’Autorità che ha conferito il riconoscimento o la parificazione, in ordine al rispetto dei requisiti di base di un insegnamento idoneo ad apprestare ai discenti un grado di preparazione culturale e di maturazione della personalità, riconoscibile al pari di quello impartito nella scuola pubblica, salve le necessarie verifiche periodiche, con la sola eccezione (per ciò che concerne il requisito della subordinazione) che sia lo stesso ordinamento a valorizzare la differente natura del rapporto corrente fra l’insegnante e l’istituzione (come nell’ipotesi del servizio prestato nell’attività di volontariato, preso specificamente in esame nella citata sentenza n. 1033/02, la cui rilevanza, per i profili che interessano, non può essere negata, proprio per la particolare incentivazione derivante dall’art. 339 del D.Lgs. 16 aprile 1994 n. 156, come corretto dall’avviso pubblicato nella G.U. n. 156 del 16 aprile 1994, e per il riconoscimento del credito formativo a norma dell’art. 1 del decreto ministeriale 10 febbraio 1999).
Nello stesso ordine di idee si muove la sentenza appellata, la quale ha rilevato come la ricorrente abbia rivestito una posizione, in senso alla società in nome collettivo che amministra la scuola e gestisce il servizio scolastico, tale non poter ricondurre, il servizio da lei prestato, nell’ambito del requisito richiesto dalla norma speciale di favore, ai fini della partecipazione alla sessione riservata di esami di abilitazione.
Il problema, come sottolineato nella sentenza appellata, non è di stabilire se è configurabile una posizione di lavoro subordinato nella persona del socio di società di persone nei confronti della società, bensì, se l’attività lavorativa prestata dalla stessa persona fisica del gestore sia configurabile come servizio di insegnamento equiparabile a quello prestato nella scuola pubblica.
Espressamente, infatti la ricorrente, ha indicato sé stessa come propria datrice di lavoro, nella parte del ricorso in cui afferma che, se l’Amministrazione gli ne avesse dato la possibilità avrebbe chiarito le ragioni dell’esonero dal pagamento dei contributi, fatte risiedere appunto nella circostanza di essere la propria datrice di lavoro.
Tanto appare sufficiente ad escludere la possibilità, per l’interessata, di beneficiare della partecipazione alla sessione riservata della quale si tratta, la quale, contrariamente a quanto mostra di ritenere la ricorrente, non si propone esclusivamente di valorizzare l’esperienza conseguita nell’attività di insegnamento (in qualunque forma prestata), ma, principalmente, intende offrire un contributo alla eliminazione del precariato scolastico, accomunando esperienze diverse ma assimilabili, non soltanto sul piano della professionalità, ma anche e soprattutto su quello delle esigenze occupazionali di categoria.
Tale essendo l’obiettivo della normativa di favore, appare evidente che in tale ambito nessuna equiparazione può essere effettuata con il lavoro autonomo o con il lavoro imprenditoriale, cui si rivolgono altre provvidenze ed incentivazioni.
In conclusione, deve essere pienamente condivisa l’affermazione del giudice di primo grado, secondo cui, ai fini della partecipazione alla sessione riservata di esami di abilitazione prevista dall’art. 2, comma 4, della L. n. 124 del 199, il servizio effettivo richiesto a chi ha svolto un’attività di insegnamento in scuole non statali riconosciute deve essere equiparabile e raffrontabile a quello prestato nelle scuole statali, di cui uno dei connotati essenziali è rappresentato appunto dalla posizione di lavoratore dipendente assunta dal docente nell’ambito del rapporto.
Posizione questa che, mentre è possibile rinvenire in una attività di volontariato, come definita e disciplinata dalla legge speciale, non è al contrario desumile nel caso in cui l’insegnante sia lo stesso gestore della scuola, nell’ambito di un’attività imprenditoriale a fini di lucro.
A nulla valgono i precedenti giurisprudenziali citati al riguardo dall’interessata, perché diversa è l’ipotesi in cui si tratti di assumere l’attività di insegnamento esclusivamente quale espressione di esperienza acquisita, dall’altra, relativa al corso di specie, in cui assume rilievo la posizione di lavoratore dipendente dell’insegnate.
Altrettanto irrilevante è, come non ha mancato di fare notare il giudice di primo grado, la circostanza che sia stato lo stesso Provveditore a certificare il servizio, in quanto detta certificazione attesta soltanto il regolare funzionamento della scuola ed il possesso, da parte dell’interessata dei requisiti minimi prescritti per l’insegnamento in scuole non statali.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere respinto.
Le spese del giudizio, che si liquidano in dispositivo, devono essere poste a carico dell’appellante ed in favore dell’Amministrazione resistente.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe;
Condanna l’appellante, in favore dell’Amministrazione resistente, al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida il =2000,00
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. VI) riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Mario SCHINAIA – PRESIDENTE
Alessandro PAJNO – CONSIGLIERE
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI – CONSIGLIERE Est.
Giuseppe MINICONE – CONSIGLIERE
Rosanna DE NICTOLIS – CONSIGLIERE