Sentenza 18 giugno 2003, n.19606
Corte di Cassazione. Sezione lavoro. Sentenza 18 giugno 2003, n.19606: “Permessi retribuiti ai lavoratori per la partecipazione a corsi organizzati da istituti legalmente riconosciuti”.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Guglielmo SCIARELLI – Presidente –
Dott. Fernando LUPI – Consigliere –
Dott. Paolo STILE – Consigliere –
Dott. Filippo CURCURUTO – Consigliere –
Dott. Camilla DI IASI – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente: SENTENZA
sul ricorso proposto da: D’AVICO ANGELINA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato ENRICO ROMANELLI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato FRANCESCO GHIRALDI, giusta delega in atti;
ricorrente
contro
BARILLA ALIMENTARE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ARCHIMEDE 44, presso lo studio dell’avvocato STEFANO COEN, che lo rappresenta e difendo unitamente all’avvocato GIAN CARLO ARTONI, giusta delega in atti;
controricorrente
avverso la sentenza n. 46-01 della Corte d’Appello di BRESCIA, depositata il 09-02-01 R.G.N. 408-2000;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18-06-03 dal Consigliere Dott. Camilla DI IASI;
udito l’Avvocato SANTARELLI per delega ROMANELLI;
udito l’Avvocato COEN;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marcello MATERA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
Il Tribunale di Cremona accoglieva la domanda di Angelina D’Avico intesa ad ottenere il riconoscimento del suo diritto a permessi retribuiti per motivi di studio ai sensi dell’art. 45 c.c.n.l. del settore, con condanna della s.p.a. Barilla Alimentare, datrice di lavoro, alle relative spettanze retributive.
La Corte d’appello di Brescia, accogliendo l’appello proposto dalla società, riformava la sentenza del Tribunale rigettando la domanda avanzata in primo grado dalla D’Avico e compensando le spese.
In particolare, il Tribunale rilevava che il rapporto di lavoro è regolato dal principio generale di corrispettività al quale è possibile derogare solo in presenza di espresse disposizioni legali o contrattuali, le quali, atteso il loro carattere eccezionale, non sono suscettibili di interpretazione analogica.
Tanto premesso, il Tribunale escludeva che alla D’Avico potessero essere riconosciuti permessi retribuiti per la partecipazione a corsi di studio gestiti da un centro di formazione professionale privato, benché convenzionato con l’assessorato alla istruzione della Regione Lombardia, atteso che l’art. 45 c.c.n.l. di settore fa specifico riferimento, per i permessi di studio, a corsi organizzati da “istituti pubblici o legalmente riconosciuti”.
Avverso tale sentenza Angelina D’Avico propone ricorso per cassazione; la s.p.a. Barilla Alimentare resiste con controricorso, successivamente illustrato dal deposito di memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Diritto
Con un unico motivo di ricorso la D’Avico censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 35 D.P.R. 24.7.1977 n. 616 e alla L.R. Lombardia 7.6.1980 n.95, nonché per “”violazione e falsa applicazione” dell’art. 45 c.c.n.l., rilevando che avrebbe errato il giudice d’appello nel ritenere che la natura Pubblica possa essere riconosciuta solo agli istituti di istruzione controllati dallo Stato e che sia riservato solo allo Stato il potere di conferire riconoscimento legale ad un istituto di istruzione privata, atteso che, a norma dell’art. 117 Cost., è riservata alle Regioni la potestà legislativa in materia di istruzione artigiana e professionale e che l’art. 35 D.P.R. n. 616 del 1977, in attuazione del dettato costituzionale, assegna alla competenza regionale i servizi e le attività destinate alla formazione, al perfezionamento, alla riqualificazione e all’orientamento professionale, per qualsiasi attività professionale e per qualsiasi finalità, compresa la formazione continua, permanente, ricorrente e quella conseguente alla riconversione di attività produttive.
Rileva altresì la ricorrente che in tale quadro si inserisce la L.R. Lombardia n. 95 del 1980 che, all’art. 22, individuati i centri di formazione professionale, specifica che essi possono essere gestiti direttamente dalla Regione o dagli enti locali, oppure possono essere convenzionati dalla Regione.
Aggiunge infine la ricorrente che i centri convenzionati dalla Regione, i cui corsi abbiano ottenuto il riconoscimento regionale ai sensi della L.R. n. 90 del 1980, non possono che essere considerati “legalmente riconosciuti”, come peraltro ammesso da gran parte della giurisprudenza di merito.
Prima di esaminare l’esposto motivo di ricorso è innanzitutto da premettere che la s.p.a. Barilla Alimentare nel controricorso sostiene di aver impugnato la sentenza di primo grado non solo perché i corsi scelti dalla D’Avico non erano gestiti da un istituto pubblico o legalmente riconosciuto, ma anche perché detti corsi (relativi all’informatica e alla gestione del personale) non erano intesi ad un miglioramento culturale della lavoratrice in relazione alla specifica attività svolta in azienda, come richiesto dal II comma dell’art. 45 c.c.n.l., onde, anche in relazione a tale previsione contrattuale, la sentenza d’appello andrebbe confermata.
È tuttavia da osservare che, per introdurre in questa sede la problematica relativa all’oggetto dei corsi e alla loro maggiore o minore attinenza con l’attività aziendale, la resistente, ancorché vincitrice, avrebbe dovuto impugnare con ricorso incidentale condizionato la sentenza d’appello che tale problematica non ha affrontato, benché sollecitata in sede di impugnazione da essa società appellante. In mancanza di un’impugnazione incidentale in tal senso, non è possibile in questa sede dare ingresso a considerazioni estranee sia alla sentenza impugnata che ai motivi di impugnazione dedotti. È ancora da rilevare che, sempre in sede di controricorso, la società resistente sostiene l’inammissibilità del ricorso perché, affermando che i corsi in questione, dovevano considerarsi come legalmente riconosciuti ai sensi della legge regionale n. 90 del 1980 e del D.P.R. n. 616 del 1977, avrebbe introdotto per la prima volta in cassazione una questione nuova e non dibattuta in appello.
A tale proposito è sufficiente osservare che in sede di legittimità non possono essere prospettate per la prima volta questioni “di fatto” nuove, mentre possono essere certamente prospettate a sostegno della propria tesi nuove argomentazioni giuridiche.
Nella specie, l’unica questione affrontata dalla sentenza d’appello era proprio relativa alla natura dei corsi scelti dalla D’Avico, dubitandosi che ad essi, gestiti da istituti privati, ancorché convenzionati dalla Regione, potesse riconoscersi la natura di corsi gestiti da istituti “pubblici o legalmente riconosciuti”, onde la ricorrente non ha certamente introdotto una questione di fatto nuova, ma si è limitata, a sostenere la propria censura con argomenti giuridici fondati su di una legge regionale ed un decreto presidenziale.
Tanto premesso, deve affermarsi la fondatezza della censura con la quale la D’Avico afferma l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il diritto a permessi retribuiti in relazione alla partecipazione a corsi gestiti da un istituto privato convenzionato dalla Regione, ritenendo tale istituto estraneo alla previsione contrattuale, riferentesi solo ad istituti pubblici o legalmente riconosciuti. Invero, escluso che i corsi in questione, gestiti da un istituto privato, rientrino nella previsione contrattuale relativa agli “istituti pubblici” (dovendo per tali ritenersi solo quelli gestiti direttamente da un ente pubblico), per quanto concerne la previsione contrattuale relativa agli istituti “legalmente riconosciuti”, è da rilevare che letteralmente l’espressione significa “riconosciuti da una legge” e occorre pertanto chiedersi in cosa consista tale riconoscimento e a cosa debba intendersi finalizzato.
A tal fine, trattandosi di istituti che gestiscono corsi di istruzione, occorre innanzitutto richiamarsi a precedenti legislativi che abbiano espressamente disposto il “riconoscimento legale” di istituti privati di istruzione, e in particolare alla l. n. 52 del 1942, che prevede il “riconoscimento legale” delle scuole non statali (non regie), riconoscimento concesso alle scuole che presentino determinati requisiti (relativi agli ambienti, ai programmi di insegnamento, alla qualificazione dei professori – art. 6 l. 28) e consistente nel riconoscimento della piena validità degli studi compiuti e degli esami sostenuti presso la scuola, fatta eccezione per l’esame di maturità e di abilitazione (art. 7 l. cit.).
Per istituto legalmente riconosciuto deve perciò ritenersi un istituto di istruzione privato al quale sia consentito da una legge lo svolgimento di attività di istruzione in presenza di determinati condizioni, con la previsione di riconoscimento della validità degli studi svolti.
Tanto premesso, è da rilevare che la L.R. Lombardia n. 95 del 1980 prevede (art. 25) che le iniziative di formazione professionale possono essere svolte anche attraverso convenzioni con imprese e loro consorzi; che le imprese convenzionate sono assoggettate a controllo, sia per quanto riguarda l’impiego dei finanziamenti regionali (art. 26), sia per quanto riguarda l’esistenza di strutture, capacità organizzative e attrezzature idonee (art. 25 co. VI); che la Regione attua i corsi e le altre iniziative formative attraverso centri di formazione professionale gestiti direttamente da altri enti locali, ovvero da istituti convenzionati dalla Regione (art. 22).
Da quanto sopra esposto si desume che i corsi tenuti dai Centri di Formazione convenzionati sono addirittura omologati (quanto alla validità degli studi effettuati) a quelli gestiti direttamente dalla Regione, mentre un “riconoscimento dei corsi” è previsto, a domanda ed in presenza di determinate condizioni, per i corsi svolti, nell’ambito della Regione, da enti, scuole o imprese (non convenzionati). Pertanto, emergendo dalla sentenza impugnata che l’istituto privato che teneva i corsi seguiti dalla D’Avico era convenzionato dalla Regione Lombardia, deve ritenersi che esso fosse “legalmente riconosciuto”, rientrando così nella previsione contrattuale.
Il ricorso deve essere perciò accolto, con cassazione della sentenza impugnata. Sussistendone i presupposti, la controversia va decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., riconoscendo alla D’Avico il diritto ai permessi retribuiti richiesti, con relativa condanna della società convenuta, così come già disposto dal giudice di primo grado, alla cui decisione si rinvia per relationem, anche per quanto riguarda il regime delle spese processuali.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese della fase d’appello, mentre le spese della presente fase di giudizio, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito conferma la sentenza di primo grado anche per le spese.
Compensa le spese del giudizio d’appello. Condanna l’intimato alle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro – 14,00 -, oltre a euro 2.000 per onorari.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile, Sez. Lav.
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Lavoro, Retribuzione, Scuole private, Studio, Enti pubblici, Istituti pubblici, Corsi di studio, Istruzione privata, Permessi, Permessi retribuiti, Istituti legalmente riconosciuti, Orientamento professionale
Natura:
Sentenza