Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Luglio 2005

Sentenza 01 ottobre 2002, n.7843

Corte di Cassazione. Sezione Lavoro. Sentenza 1 ottobre 2002, n. 7843: “Rapporto di lavoro e sospensione del rapporto alle dipendenze delle IPAB”.

La Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro

Composta dai magistrati:
Salvatore Senese – Presidente
Alberto Spanò – Consigliere
Corrado Guglielmucci – ”
Pasquale Picone – Relatore ”
Giuseppe Cellerino – ”

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

sul ricorso principale proposto da

COLZI Michela, PAPINI Lucia e PIERATTONI Enrica, selettivamente domiciliate in Roma, via del Viminale, n. 43, presso l’avv. Fabio Lorenzoni, che, unitamente agli avv.ti Roberto Ubaldi e Pier Matteo Lucibello, le difende con procura speciale apposta a margine del ricorso;
ricorrenti

contro

ISTITUTO PER L’INFANZIA “PELAGIA ROMOLI”, in persona del presidente del consiglio di amministrazione Ferdinando Magrini, eelettivamente domiciliato in Roma, via Montesanto 25, presso l’avv. Roberto Martire, che, unitamente all’avv. Franco Bechi, lo difende con procura speciale apposta a margine del controricorso e ricorso incidentale;
resistente

e sul ricorso incidentale proposto da

ISTITUTO PER L’INFANZIA “PELAGIA ROMOLI”, come sopra rappresentato, domiciliato e difeso;
ricorrente

contro

COLZI Michela, PAPINI Lucia e PIERATTONI Enrica, come sopra rappresentate, domiciliate e difese;
intimate

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Pistoia n. 433 in data 22 dicembre 1999 (R.G. 132-98);
sentiti, nella pubblica udienza del 1 ottobre 2002: il cons. Pasquale Picone che ha svolto la relazione della causa; l’avv. Mario Loria per delega dell’avv. Lorenzoni e l’avv. Martire; il Pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale Massimo Fedeli che ha concluso per il rigetto del ricorso principale con assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

Il Tribunale di Pistoia ha confermato, respingendo l’appello, la sentenza del Pretore della stessa sede, di rigetto delle domande proposte da Michela Colzi ed altri litisconsorti contro l’Istituto per l’infanzia “Pelagia Romoli” per ottenere il pagamento delle differenze retributive derivanti dall’applicazione del trattamento economico previsto dagli accordi collettivi per il personale degli enti locali e delle Ipab, pretesa fondata sull’affermata inefficacia dell’accordo sindacale del 4 agosto 1982, in ordine alla sospensione dei rapporti di lavoro senza retribuzione.
Il Tribunale, ritenuta preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione dell’appellato in ordine alla nullità del ricorso introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda, ha accertato che l’Istituto aveva personalità giuridica di diritto privato alla stregua del dato normativo risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 396 del 1988, cosicché il rapporto di lavoro dei dipendenti doveva ritenersi di diritto privato ab origine; di conseguenza, non era ad esso applicabile la normativa di cui agli accordi collettivi recepiti in decreto presidenziale ai sensi della legge quadro del pubblico impiego e la validità ed efficacia dell’accordo sindacale 4.8.1982 doveva scrutinarsi secondo le regole del diritto privato; che al detto accordo doveva attribuirsi natura di vero e proprio accordo collettivo aziendale, peraltro ratificato dai lavoratori personalmente, abilitato come tale a derogare in senso peggiorativo i contratti nazionali; ma anche ritenendo, ha aggiunto il Tribunale, che si fosse, invece, in presenza di atti individuali di transazione o rinuncia, ugualmente sarebbero stati da considerare validi perché con essi, al fine di evitare il licenziamento, i lavoratori avevano aderito ad un piano di ristrutturazione dell’ente, accettando la sospensione del rapporto senza retribuzione fino al richiamo in servizio mediante nuove convenzioni da stipulare entro i tempi previsti.
La cassazione della sentenza è domandata dai lavoratori con ricorso per quattro motivi, al quale resiste con controricorso l’Istituto, che propone altresì ricorso incidentale condizionato per un unico motivo. I ricorrenti principali hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.). 2. Sebbene condizionato, deve essere esaminato per primo l’unico motivo del ricorso incidentale in base al principio, divenuto ormai pacifico nella giurisprudenza della Corte, secondo il quale, qualora la parte, interamente vittoriosa nel merito, abbia proposto ricorso incidentale avverso una statuizione a lei sfavorevole, relativa ad una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione deve esaminare e decidere con priorità tale ricorso, senza tenere conto della sua subordinazione all’accoglimento del ricorso principale, dal momento che l’interesse al ricorso sorge per il fatto stesso che la vittoria conseguita sul merito e resa incerta dalla proposizione del ricorso principale e non dalla sua eventuale fondatezza e che le regole processuali sull’ordine logico delle questioni da definire – applicabili anche al giudizio di legittimità (art. 141, primo comma, disp. att cod. proc. civ.) – non subiscono deroghe su sollecitazione delle parti (Cass., sez. un., 23 maggio 2002, n. 212). 2.1. Ed infatti, l’unico motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 414, n. 3 e n. 4, c.p.c. nonché insufficiente ed illogica motivazione su punto decisivo, perché il ricorso introduttivo del giudizio non specificava adeguatamente il petitum e la causa petendi. In particolare, non risultavano precisate le date di cessazione dei singoli rapporti e quindi periodi cui riferire le differenze retributive, nè le somme percepite e quelle dovute, con l’indicazione della sola cifra globale. 3. Il motivo di ricorso non ha fondamento.
La più recente giurisprudenza della Corte è orientata nel senso che, nel rito del lavoro, la valutazione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui questa si fonda, implica un’interpretazione dell’atto introduttivo della lite riservata – salva la censurabilità in sede di legittimità per vizi della motivazione – al giudice del merito, il quale, in sede di appello, può trarre elementi di conforto del proprio giudizio positivo circa la sufficienza degli elementi contenuti nel ricorso dal rilievo che esse consentirono al giudice di primo grado di impostare e svolgere l’istruttoria ritenuta necessaria per la decisione della controversia (Cass. 3463-1989; Cass., sez. un., 6140-1993; Cass. 3463-2002; 6501-2002; 7137-2002; in senso contrario, ma isolata, Cass. 7089-1999). 3.1. Nella specie il Tribunale, pur trattando la questione in modo sintetico, con motivazione sufficiente e logica ha rilevato come non vi fossero dubbi in ordine all’oggetto del giudizio ed al contenuto concreto delle pretese dei lavoratori e che risultavano comunque precisati i fatti essenziali, quali la qualifica professionale dei lavoratori, il periodo di riferimento, le fonti della pretesa di pagamento. 4. Il primo motivo del ricorso principale denuncia “violazione di legge processuale determinata da pronuncia ultrapetita” perché il Pretore aveva ritenuto l’applicabilità degli accordi sindacali recepiti in d.P.R. per la disciplina dei rapporti dei dipendenti degli enti locali, dei quali aveva poi (erroneamente) affermato la derogabilità ad opera dell’accordo decentrato, ma sulla prima questione non vi era stata contestazione da parte dell’appellato. 4.1. Il motivo non ha fondamento perché oggetto del giudizio era la validità e l’efficacia dell’accordo aziendale, negate dagli appellanti in base all’inderogabilità in senso peggiorativo degli accordi sindacali nazionali. Pertanto, l’applicabilità di questi ultimi ai rapporti di lavoro costituiva il presupposto logico – giuridico per la risoluzione del punto controverso. 4.2. La giurisprudenza della Corte ha più volte precisato che non è configurabile giudicato su di una questione costituente l’antecedente logico di una statuizione di merito che abbia formato oggetto di gravame (cfr. Cass., 13 marzo 2000, n. 2868; 11 febbraio 2000, n. 1512), sicché al Tribunale, chiamato specificamente a decidere circa la possibilità di derogare, in sede locale, agli accordi sindacali nazionali recepiti in d.P.R., era necessariamente sottoposta la questione dell’applicabilità ai rapporti controversi dei detti accordi. 5. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione delle norme e principi generali in materia di nullità in relazione al passaggio in giudicato della sentenza del Tar Toscana che tale nullità aveva dichiarato. 6. Il motivo di ricorso è destituito di fondamento.
La questione è proposta per la prima volta nel giudizio di legittimità, ma è tuttavia ammissibile in forza della regola per cui la preclusione da giudicato esterno è rilevabile anche di ufficio ove il giudicato stesso risulti da atti comunque prodotti nel giudizio di merito (Cass., sez. un., 226-2001). 6.1. Il riferimento dei ricorrenti è al giudizio amministrativo in precedenza instaurato dai dipendenti dell’ente e all’accoglimento dei ricorsi ad opera del Tribunale amministrativo. Ma, come risulta dallo stesso contenuto del ricorso principale, la sentenza di primo grado venne appellata dall’Istituto dinanzi al Consiglio di Stato, il quale dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a cagione della natura privata del rapporto di lavoro. Nessun giudicato sulla nullità dell’accordo decentrato può, perciò, essere invocato dagli attuali ricorrenti, restando irrilevante che, invece, la sentenza di primo grado sia stata confermata per quei dipendenti – diversi dai ricorrenti – il cui rapporto di lavoro continuava ad avere natura di pubblico impiego per essere transitati alle dipendenze di altri enti pubblici. 7. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dei principi generali in materia di efficacia delle sentenze della Corte costituzionale in relazione ai rapporti ed alle situazioni pregresse.
Ad avviso dei ricorrenti, almeno fino alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, le Ipab, private o pubbliche che fossero, erano vincolate all’osservanza degli atti regolamentari che avevano recepito gli accordi sindacali, regolamenti che non consentivano deroghe in peius ad opera di accordi decentrati. 8. Anche questo motivo non può trovare accoglimento.
Le sentenze della Corte costituzionale impediscono al giudice di fare applicazione, ai fini della risoluzione della controversia, delle norme dichiarate costituzionalmente illegittime. 8.1. Pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972 in ordine alla qualificazione pubblicistica di tutte le Ipab ed essendo rimasti accertati definitivamente i dati di fatto che, alla stregua della stessa sentenza costituzionale, conducevano a qualificare ente privato l’Istituto “Pelagia Romoli”, non è consentito ritenere che lo stesso Istituto abbia mai avuto natura pubblicistica. 8.2. Ne discende che i rapporti di lavoro dei dipendenti dell’ente non avrebbero potuto essere regolati dagli accordi collettivi recepiti in d.P.R. contemplati dalla legge 29 marzo 1983, n. 93, secondo l’ambito di applicazione determinato dal suo art. 1.
I decreti del Presidente della Repubblica che recepiscono gli accordi sindacali, per la loro natura di atti regolamentari, sono suscettibili di disapplicazione (art. 5, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E), alla stregua del dato normativo risultante dalla citata sentenza costituzionale, nella parte in cui hanno disciplinato tutti rapporti di lavoro alle dipendenze di Ipab, dovendosi escludere che la legge abbia conferito all’amministrazione poteri normativi in relazione a rapporti di lavoro con soggetti privati. 8.3. Nè avrebbe consistenza l’obiezione, che presenta più punti di emersione nel ricorso principale, che in questa ricostruzione si avrebbero rapporti di lavoro privi di disciplina: le fonti della disciplina sono, infatti, rappresentate dal codice civile, dalle altre leggi sul rapporto di lavoro subordinato privato e dai contratti individuali. A questi ultimi, in particolare, sono riconducibili i trattamenti economici e normativi di fatto applicati, dovendosi escludere, per quanto sopra precisato, la loro derivazione normativa. 9. Il quarto motivo denuncia erronea applicazione dell’art. 2113 c.c., mancata applicazione dell’art. 1418 c.c., difetto di motivazione. 9.1. Si deduce che, dal momento che al tempo della stipulazione del preteso accordo decentrato non era ancora intervenuta la sentenza costituzionale 396-1988 e sussisteva il pieno convincimento che si fosse in presenza di rapporti di impiego pubblico, la volontà delle parti stipulanti non poteva essere ricostruita nel senso che avessero inteso concludere un accordo decentrato, non ammesso dalla normativa alla quale facevano riferimento, cui erano inoltre estranee le nozioni di rischio di impresa e insufficienza di commesse. 9.2. Ed infatti il preteso accordo recava l’impegno dell’Istituto di farsi promotore di nuove convenzioni con le Usl, con la previsione del collocamento in aspettativa senza assegni dei dipendenti, dipendenti che sarebbero stati richiamati in servizio in base alle suddette convenzioni. Quindi, ad avviso dei ricorrenti, presentava un contenuto assolutamente indeterminato, rimettendo i futuri sviluppi della vicenda alla volontà unilaterale del datore di lavoro e risolvendosi in rinuncia a diritti futuri e non individuati, come tale radicalmente nulla. 10. Anche questo motivo non può trovare accoglimento, sebbene sul punto la sentenza impugnata sia erroneamente motivata in diritto e debba essere corretta dalla Corte (art. 384, comma secondo, c.p.c.).
In fatto, non è contestato che venne stipulato un accordo sindacale per concordare a certe condizioni la sospensione dell’esecuzione delle prestazioni lavorative senza diritto a retribuzione e che il predetto accordo venne accettato (o comunque ratificato) singolarmente dai singoli dipendenti. 10.2. La motivazione del Tribunale è quindi errata (e va corretta dalla Corte) nella parte in cui qualifica l’anzidetto accordo come collettivo, abilitato come tale anche a dettare una nuova disciplina del lavoro peggiorativa rispetto alla precedente.
Per la validità ed efficacia di un accordo con i descritti contenuti è, infatti, indispensabile che i lavoratori interessati abbiano conferito specificamente ai rappresentanti sindacali l’incarico di stipularlo, oppure che provvedano a ratificarne l’operato, trattandosi di accordo che incide immediatamente sulla disciplina dei contratti individuali di lavoro e sui diritti di cui i singoli sono già titolari (Cass. 5090-1995). 10.3. Invero, il Tribunale motiva anche nella prospettiva, corretta, dei contratti stipulati in nome e per conto dei singoli dipendenti, nell’esercizio dei compiti di assistenza, in senso lato, che le organizzazioni sindacali svolgono nell’interesse dei lavoratori.
Commette, tuttavia, l’errore di riportare i contratti (individuali) allo schema della transazione e dei negozi abdicativi in genere. 10.4. Nel presupposto – già verificato come corretto – della natura privata ab origine dei rapporti di lavoro in questione e della conseguente applicabilità dei principi e delle regole proprie del lavoro subordinato privato, va richiamato l’orientamento della giurisprudenza della Corte secondo il quale il principio generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro, del quale è espressione anche l’art. 2126 c.c., comporta che, al di fuori delle espresse deroghe legali (come, ad esempio, l’art. 2110 c.c.) o contrattuali, la retribuzione spetti soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di mora credendi nei confronti dei dipendenti (cfr. Cass., sez. un., 2334-1991) 10.5. Ne discende che sono validi, in linea di principio, i patti conclusi tra i lavoratori e il datore di lavoro per la sospensione del rapporto, patti che non hanno ad oggetto diritti di futura acquisizione e non concretano rinunzia (alla retribuzione) invalida ai sensi dell’art. 2113 c.c., atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata esecuzione della prestazione (Cass. 7393-1991; 10090-1991; 10298-1991; 1154-1992; 10129-1993; 5090-1995). 11. Sussistono giusti motivi, individuati nella soccombenza reciproca e nella correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, per compensare interamente le spese del giudizio di cassazione

P.Q.M

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa interamente le spese del giudizio di cassazione.