Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 5 Giugno 2005

Sentenza 28 gennaio 2003

TAR Puglia. Sentenza 28 gennaio 2003: “Esclusione delle cappelle votive non consacrate dall’autorità ecclesiastica dalla qualificazione di opere di interesse pubblico”.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia. Sezione di Lecce. Prima Sezione

Composto dai Signori Magistrati:
Aldo Ravalli Presidente
Enrico d’Arpe Componente est.
Ettore Manca Componente

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n° 1128/1999 presentato dalla Sig.ra P.A., rappresentata e difesa dagli Avvocati Giovanni Pellegrino e Maria Chiara Pasanisi ed elettivamente domiciliata presso lo Studio del primo in Lecce, Via Augusto Imperatore n° 16,

contro

il Comune di Manduria, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituito in giudizio,

per l’annullamento della nota del 4 Marzo 1999, con cui il Capo Settore dell’Ufficio Urbanistico del Comune di Manduria ha comunicato alla ricorrente il parere negativo espresso dalla C.E.C. sull’istanza di concessione edilizia in sanatoria (e variante urbanistica) da essa presentata in data 17 Dicembre 1998, ai sensi degli artt. 13 della Legge n° 47/1985 e 6 della Legge Regionale n° 3/1998.

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dalla parte ricorrente a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato alla pubblica udienza del 9 Gennaio 2003 il Relatore Cons. Dr. Enrico d’Arpe; e udita, altresì, l’Avv. Valeria Pellegrino, in sostituzione dell’Avv. Giovanni Pellegrino, per la ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La ricorrente – proprietaria del terreno agricolo esteso circa un ettaro ubicato in Manduria in località “Cittu Cittu” (distinto in catasto al fol. 50 p.lla 9), sul quale sono stati edificati (con fondi raccolti tra credenti) una piccola cappella ed altri manufatti votivi – espone:
– che, nell’anno 1992, una giovane donna residente in Manduria (D.M.) confidò ai propri familiari ed al suo confessore di aver avuto, mentre era in preghiera, il dono di un’apparizione della Madonna che la invitava a recarsi in un fondo agricolo, sito alla periferia di Manduria, dove le apparizioni si sarebbero ripetute;
– che, benché il fenomeno non sia mai stato riconosciuto come miracoloso dalla Gerarchia Ecclesiastica, la notizia di tali ricorrenti apparizioni iniziò a propagarsi e divenne ben presto di dominio pubblico, talchè nei luoghi delle preannunciate periodiche apparizioni iniziarono a recarsi dapprima parenti e amici della Sig.na M., quindi una massa sempre crescente di credenti, che affluivano da paesi vicini e, con il tempo, anche da fuori provincia;
– che, per venire incontro ad un desiderio che la veggente affermava essere stato espresso dalla Santa Vergine, nel luogo delle apparizioni (e, dunque, nel terreno della ricorrente), con fondi raccolti tra i credenti, sono stati edificati una piccola cappella ed altri manufatti votivi;
– che tutto ciò è avvenuto in carenza di assensi amministrativi, al cui ottenimento, peraltro, ostavano le previsioni del Piano Regolatore Generale di Manduria, che destina il predetto fondo agli usi agricoli;
– che, in tale situazione, l’odierna ricorrente (ritenendo di farsi portatrice di un interesse non esclusivamente proprio) ha presentato, in data 17 Dicembre 1998, un’istanza al Comune di Manduria tendente ad ottenere che la cappella e gli altri manufatti votivi edificati sul suo terreno venissero regolarizzati sotto il profilo amministrativo mediante assenso edilizio in sanatoria e variante urbanistica, ai sensi dell’art. 13 della Legge n° 47/1985 e dell’art. 6 della Legge Regionale n° 3/1998;
– che l’istanza di cui sopra è stata negativamente riscontrata dal Comune di Manduria con il provvedimento indicato in epigrafe, comunicativo della circostanza che la Commissione Edilizia Comunale aveva espresso “parere contrario, non riconoscendo nella iniziativa un interesse pubblico, la cui sussistenza sarebbe invece essenziale per una positiva valutazione ai sensi dell’art. 6 della Legge Regionale n° 3/1998”.
La ricorrente, ritenendo illegittimo tale provvedimento amministrativo, lo ha impugnato dinanzi all’intestato Tribunale formulando i seguenti motivi di gravame.
1) Incompetenza: sostenendo che, in forza degli artt. 4 e 6 della Legge Regionale 20 Gennaio 1998 n° 3, l’istanza di concessione edilizia in sanatoria e variante urbanistica (fondata su tali disposizioni di legge) avrebbe dovuto essere sottoposta al Consiglio Comunale di Manduria.
2) Eccesso di potere per contraddittorietà: assumendo che l’atto impugnato, pur riconoscendo che l’istanza di concessione edilizia era relativa ad un immobile adibito a luogo di culto, contraddittoriamente ha negato che l’iniziativa rispondesse all’interesse pubblico; ed evidenziando che, invece, la legislazione statale e la normativa regolamentare riconoscerebbero ai luoghi di culto (indipendentemente dalla natura e dalla ufficialità del culto) il carattere di infrastrutture rientranti nella c.d. urbanizzazione secondaria.
Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 9 Gennaio 2003, su richiesta di parte, la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, osserva il Collegio che – nonostante nelle more del giudizio sia stata abrogata la Legge Regionale 20 Gennaio 1998 n° 3 (vedi art. 1 Legge Regionale 25 Settembre 2000 n° 14) – persiste, sicuramente, l’interesse della ricorrente alla coltivazione del gravame, in ragione delle intuibili implicazioni che una eventuale pronuncia di accoglimento del ricorso avrebbe sul piano risarcitorio e della rinnovazione del procedimento di sanatoria.
Nel merito, però, il ricorso è infondato e va respinto.
Occorre premettere che il provvedimento impugnato è stato emanato nella vigenza della Legge Regionale 11 Febbraio 1999 n° 8 (che ha modificato ed integrato la Legge Regionale 20 Gennaio 1998 n° 3), e che questa legge regionale ha introdotto nel testo della L.R. n° 3/1998 l’art. 6 bis, in forza del quale: ai fini urbanistici, edilizi, paesaggistico-ambientale e per ogni effetto di legge, la dichiarazione di pubblico interesse di cui al precedente articolo 6 può riguardare esclusivamente (oltre alle opere realizzate da enti o organismi pubblici anche se non classificate quali opere pubbliche) le opere realizzate da soggetti privati che godono di finanziamento pubblico o che rientrino in programmi relativi alla previsione di urbanizzazioni, strutture, infrastrutture o servizi pubblici o di interesse pubblico ovvero per le quali l’interesse pubblico o la pubblica utilità sono riconosciute da norme legislative statali o regionali.
Tanto premesso, il Tribunale rileva che le costruzioni di tipo religioso-votivo oggetto dell’istanza di concessione edilizia in sanatoria presentata dalla Sig.ra Perrucci non rientrano “ictu oculi” nell’ambito oggettivo di applicazione della invocata Legge Regionale 20 Gennaio 1998 n° 3 e ss.mm. rigidamente fissato dal menzionato art. 6 bis, per cui non ha pregio giuridico la prima censura che richiama la competenza dell’organo (consiliare) deputato ad esprimere le proprie valutazioni discrezionali in merito all’approvazione (in variante agli strumenti urbanistici) di progetti per la realizzazione di opere edilizie che ontologicamente rientrano tra quelle alle quali si applica la Legge Regionale n° 3/1998 e ss.mm. (trovando applicazione, invece, nell’ipotesi in questione, il normale ordine di competenze previsto per il procedimento concernente l’istanza di concessione edilizia in sanatoria di cui all’art. 13 della Legge 28 Febbraio 1985 n° 47).
Si tratta, a ben vedere, di opere edilizie eseguite da soggetti privati in difetto di finanziamento pubblico, che non rientrano in programmi stilati dal Comune di Manduria e per le quali l’interesse pubblico non è riconosciuto da alcuna norma di legge.
Il Collegio ritiene, infatti, che le “chiese ed altri edifici religiosi” elencati dall’art. 4 della Legge 29 Settembre 1964 n° 847 (come integrato dall’art. 44 della Legge 2 Ottobre 1971 n° 865) tra le opere di urbanizzazione secondaria siano soltanto quelli la cui complementarità con la funzione religiosa della “confessione” interessata sia stata ufficialmente dichiarata dai competenti organi istituzionalmente rappresentativi della stessa confessione religiosa (confronta: T.A.R. Veneto, I Sezione, 12 Giugno 1999 n° 929).
Si deve sottolineare che lo Stato Italiano (nonostante la sua laicità), con gli articoli 7 e 8 della Carta Costituzionale, riconosce giuridica rilevanza alle diverse confessioni religiose principalmente attraverso intese ed accordi perfezionati con le relative rappresentanze ufficiali.
Per cui, in difetto di esplicito riconoscimento del carattere di “chiesa o altro edificio religioso” ritualmente effettuato dalle rappresentanze ufficiali delle varie confessioni religiose esistenti, non appare possibile attribuire all’edificio (de facto) destinato al culto la qualificazione di opera di interesse pubblico.
Nel caso di specie, in presenza di una cappella e di altri manufatti votivi realizzati e frequentati da soggetti che praticano la religione cattolica, ma giammai consacrati dall’Autorità Ecclesiastica, appare corretto ritenere che tali costruzioni siano idonee a soddisfare unicamente gli interessi del gruppo particolare di persone che li frequentano (oltre a quello personale della proprietaria del fondo su cui sono stati edificati), ma non anche l’interesse pubblico generale.

D’altra parte, non può essere trascurata l’esistenza nel nostro ordinamento dell’art. 831 del codice civile, che sembra attribuire indubbio rilievo di interesse pubblico agli edifici destinati all’esercizio del culto cattolico (anche se appartenenti a privati) purchè, però, in relazione agli stessi sia intervenuta la “deputatio ad cultum” che, notoriamente, implica la necessità della presenza della formale consacrazione da parte dell’Autorità Ecclesiastica.

In conclusione, ad avviso della Sezione, è priva di fondamento anche la seconda doglianza prospettata dalla ricorrente.
Per le ragioni sopra illustrate, il ricorso deve essere respinto.
Nulla sulle spese processuali, perché l’Amministrazione Comunale intimata non si è costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Prima Sezione di Lecce – respinge il ricorso indicato in epigrafe.
Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla Autorità Amministrativa.

Aldo Ravalli – Presidente
Enrico d’Arpe – Consigliere Relatore-Estensore