Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 18 Maggio 2005

Nota 12 febbraio 2004

Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. Nota 12 febbraio 2004: “La funzione dell’autorità ecclesiastica sui beni ecclesiastici”.

(da Communicationes, 36, 2004, pp. 24-32 (1))

NOZIONE DI «BENE ECCLESIASTICO»

1. La Chiesa, per compiere nel mondo la missione ricevuta dal suo Fondatore e Signore Gesù Cristo, ha il diritto nativo di acquistare, possedere, amministrare ed alienare i beni temporali per conseguire i fini che le sono propri (cann. 1254; 1253) (2).
All’interno della Chiesa, poi, ci sono numerosi enti – aventi una propria individualità, derivata dalla diversa costituzione, da una finalità specifica, da un ambito di attuazione -, i quali sono anch’essi capaci di essere titolari dei beni temporali che hanno legittimamente acquistato (cann. 1256; 1239) (3).
L’ecclesialità, comune a tutti questi beni, deriva dalla destinazione ai fini propri della Chiesa. Questo, però, non impedisce che la proprietà appartenga esclusivamente a ciascuno degli enti singolarmente considerati.

2. Il diritto canonico riconosce in modo speciale la capacità di essere titolari di beni temporali agli enti cui attribuisce lo status di «persona giuridica».
Le persone giuridiche nella legislazione ecclesiastica (cann. 113-123) (4) possono essere costituite da persone o da beni (can. 115, § I); quelle costituite da persone si distinguono in collegiali o non collegiali (can. 115, § 2) (5). Possono essere, inoltre, pubbliche e private (can. 116) (6).
Le persone giuridiche «pubbliche» sono quelle che, costituite dalla competente autorità ecclesiastica, compiono a nome della Chiesa il proprio compito in vista del bene pubblico (can. 116) (7).
Conseguenza del carattere pubblico di questa categoria di persone giuridiche è la norma del can. 1257, § 1 (8); in esso si stabilisce che i beni temporali appartenenti alla Chiesa universale, alla Sede Apostolica e alle persone giuridiche pubbliche nella Chiesa ricevono la qualifica tecnica di «beni ecclesiastici». Questa qualifica ha un duplice effetto: 1) riconosce la valenza ecclesiale di tali beni; 2) dichiara tali beni sottomessi alla potestà dell’autorità ecclesiastica competente, fermo restando che la proprietà appartiene alle singole persone giuridiche.

3. La proprietà dei beni ecclesiastici è, dunque, sempre delle singole persone giuridiche pubbliche, che rispondono in proprio. Tale possesso è condizionato e giustificato dalla destinazione al compimento della missione della Chiesa e, in tal senso, e sottoposto ai controlli amministrativi stabiliti dalla legislazione canonica. In senso analogo, le cose sacre, che possono appartenere a persone fisiche o a persone giuridiche private, sono anche esse, in forza del loro carattere sacro, sottoposte ad un regime particolare, il quale modella l’esercizio dei diritti reali, senza però annullare la titolarità dei diritti stessi. In sintesi, il patrimonio ecclesiastico sottoposto alla potestà dell’autorità della Chiesa è distribuito tra le molte persone giuridiche pubbliche, le quali sono le proprietarie dei singoli beni. Recita, infatti, il can. 1256 (9) che «la proprietà dei beni, sotto la suprema autorità del Romano Pontefice, appartiene alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati».
Le leggi canoniche, perciò, prevedono una netta distinzione e autonomia dei vari enti ecclesiastici gli uni rispetto agli altri. Pertanto, secondo l’ordinamento canonico, ad esempio, la “bancarotta” di una parrocchia non comporta che passa essere imputata alla diocesi e debba essere riparata con i beni della diocesi o di un’altra parrocchia. Anche nell’ordinamento civile la «bancarotta» di un ante inferiore non comporta l’intervento dell’ente superiore per il recupero dei beni,
Inoltre, l’eventuale responsabilità oggettiva del Vescovo come persona non dovrebbe comportare l’intervento sui beni della diocesi come ente.

NOZIONE Di «AMMINISTRAZIONE».

4. Il termine «amministrazione» ha una duplice valenza semantica che non deve indurre in errore. Amministrare, infatti, può significare la funzione propria dell’autorità ecclesiastica – diversa da quella di legiferare e di giudicare – consistente nel porre atti di governo nel rispetto della legge. Accanto a questo significato, appartenente all’ambito del potere di giurisdizione, ce n’è un altro di tipo economico, che mira a conservare, far fruttare e migliorare un patrimonio. Ebbene, è da tener presente che il Legislatore ecclesiastico adopera il termine in entrambi i sensi; quando, per esempio, regola l’atto amministrativo nel Libro I sta evidentemente facendo riferimento al primo concetto di amministrazione; quando, invece, stabilisce al can. 1279 (10) la necessità che le persone giuridiche pubbliche abbiano un amministratore, adopera il secondo senso di amministrare.
E’ importante tenere presente questa distinzione al momento di esaminare il Libro V e in particolare il suo Titolo II su «l’amministrazione dei beni», poiché in esso il Legislatore adopera entrambi i sensi del termine “amministrazione” nei confronti dei beni ecclesiastici. In concreto, quando il can. 1273 (11) qualifica il Romano Pontefice come amministratore supremo dei beni ecclesiastici, fa riferimento al potere di giurisdizione del Papa sulla Chiesa e, quindi, sui beni delle persone giuridiche pubbliche destinati ai fini propri della Chiesa, anziché ad una funzione amministrativa di tipo economico basata sui potere dominicale dei beni.

IL VESCOVO DIOCESANO E L’AMMINISTEAZIONE DEI BENI ECCLESIASTICI DEGLI ENTI.

5. Spetta al Vescovo diocesano il potere-dovere di esercitare la tutela sull’amministrazione dei beni appartenenti alle persone giuridiche pubbliche a lui soggette (cf. can. 1276, § 1) (12) e di vigilare sulle persone giuridiche canoniche nei limiti stabiliti dal diritto (cf. cann. 392, § 2(13); 325, § 1).
La necessità del superiore controllo è determinata dalla natura stessa dei beni ecclesiastici e dal loro carattere pubblico e perciò non deve essere concepita come limitazione dell’autonomia degli enti ma come garanzia dei medesimi, anche in relazione a eventuali conflitti di interesse tra l’ente e chi agisce a suo nome.
Tale dovere di vigilanza comprende alcuni compiti che comportano l’esercizio della potestà esecutiva (ad esempio, licenza per gli atti di straordinaria amministrazione) e di altri compiti che non comportano tale potestà (ad esempio, esame dei bilanci, ispezioni amministrative, consulenza tecnica e giuridica). Il Vescovo affida abitualmente ad altri questi compiti (14).
Si tenga presente che all’Ordinario del luogo compere anche l’esercizio della vigilanza sull’attività amministrativa delle associazioni private di fedeli, ai sensi e nei limiti dei cann. 305 (15) e 325.

a) L’amministrazione dei beni delle persone giuridiche pubbliche.

E’ necessario fare riferimento a due canoni: il 1276 e il 1279 (16).
Nel paragrafo primo del can. 1276 (17) va sottolineata, innanzitutto, l’attribuzione all’Ordinario della vigilanza sull’amministrazione. Si tratta di vigilanza non di amministrazione. La vigilanza comprende il diritto di ispezione, di esigenza dei conti, di stabilire le modalità di una corretta ed ordinata amministrazione, di dare la licenza per alcuni atti amministrativi di una certa gravità o rilevanza (cf. cann. 1277, 1281, 1285, 1292) (18), La vigilanza non comprende, quindi, il diritto di supplenza della rappresentanza.
La seconda sottolineatura va fatta all’espressione finale del paragrafo primo: «salvo titoli legittimi per i quali si riconoscono più ampi diritti» (es. per delegazione pontificia o per statuto).
Già questo paragrafo offre chiare indicazioni: in linea generale l’Ordinario ha solo la vigilanza, salvo che la legge generale (es. per i religiosi) o altri legittimi titoli gli consentano di più.
Il paragrafo secondo del canone 1276 (19) attribuisce all’Ordinario anche la potestà di regolamentare l’amministrazione dei beni ecclesiastici con istruzioni dettate in conformità al diritto universale e particolare e, tenendo conto dei diritti soggettivi, delle legittime consuetudini e circostanze.
L’applicazione del principio di sussidiarietà da parte del Legislatore canonico crea l’esigenza di colmare gli spazi concessi dal Codice di Diritto Canonico alla peculiare disciplina delle Chiese particolari.
L’Ordinario perciò, secondo l’opportunità, può emanare istruzioni per chiarire e precisare i modi e i tempi di attuazione delle leggi in materia di beni ecclesiastici, nello spirito ed entro i limiti del diritto universale, complementare e particolare (Conferenza Episcopale, Assemblea dei Vescovi delle Provincie ecclesiastiche, leggi diocesane) con effetto per tutte le persone giuridiche a lui soggette.
In merito al can. 1279 (20), si tenga presente che il principio enunciato nel canone ha i suoi riflessi sui rapporti che la persona giuridica intrattiene con i terzi, in ordine alla certezza della legittima rappresentanza degli interessi della stessa persona giuridica.
Possiamo dedurre che il Codice di Diritto Canonico non è orientato e non contiene una norma specifica che attribuisca in modo diretto ed esplicito all’Ordinario il potere di supplenza nella rappresentanza degli enti ecclesiastici, persone giuridiche pubbliche.
La norma canonica stabilisce che l’Ordinario può supplire la rappresentanza solo nel caso di negligenza del rappresentante legale, oppure, se ciò gli è attribuito dal diritto particolare o dagli statuti.

b) L’amministrazione dei beni delle persone giuridiche private.

Posto il principio del can. 1257, secondo il quale i beni temporali delle persone giuridiche private non sono beni ecclesiastici in senso tecnico e « sono retti dai propri statuti e non da questi canoni, a meno che non si disponga diversamente», in linea generale va affermato che l’Ordinario non può supplire i legali rappresentanti se ciò non è esplicitamente contemplato negli statuti o nei decreti di costituzione.
A norma di Diritto canonico l’intervento dell’Ordinario è possibile per i beni donati o lasciati in ordine a cause pie (cf. can. 325, § 2; can 1301 (21)).

IL ROMANO PONTEFICE QUALE SUPREMO AMMINISTRATORE DEI BENI ECCLESIASTICI

6. E’ importante cogliere correttamente il significato della sottomissione dei beni ecclesiastici alla suprema autorità del Romano Pontefice e definirne bene il contenuto. E da considerare a questo proposito il disposto del can. 1273, secondo cui «il Romano Pontefice, in forza del suo primato di governo, è il supremo amministratore e dispensatore di tutti i beni ecclesiastici».
Va però subito chiarito che sarebbe assolutamente fuorviante una lettura frettolosa di questo canone che confondesse la funzione del Papa di amministrare i beni ecclesiastici con l’attività caratteristica di un potere di tipo dominicale sulle cose.

7. A conferma di quanto appena esposto c’è lo stesso tenore letterale del can. 1273 che, nell’affermare la funzione dei Romano Pontefice di amministratore dei beni ecclesiastici, precisa che esso è in forza del primato di governo (vi primatus regiminis). Questa precisazione, inesistente nel correlativo can. 1518 del CIC del 1917, sta ad indicare inequivocabilmente che il Sommo Pontefice non è il proprietario dei beni, bensì egli esercita la potestà di giurisdizione sui beni ecclesiastici (non una potestà derivata da un diritto reale) che gli è propria quale suprema autorità della Chiesa (22). A tale proposito già S. Tommaso d’Aquino affermava: «Res ecclesiasticae sunt papae ut principalis dispensatoris, non ut domini et possessoris» (23).
Si può, quindi, affermare che l’unità del patrimonio ecclesiastico è garantita non solo dai fini, ma anche dal potere, non di proprietà – che rimane alla persona giuridica che li ha acquistati – del Romano Pontefice in virtù del suo avere il supremo governo e la rappresentanza nella Chiesa.
A questo punto sarà di utilità rammentare alcune caratteristiche della funzione e del potere del Romano Pontefice.

LA POTESTA’ DEL ROMANO PONTEFICE.

8. Il can. 331 (24) stabilisce che «il Vescovo della Chiesa di Roma, (…) in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente». Il can. 333, § 1 precisa che «il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura».

9. La potestà del Romano Pontefice si configura con tratti molto peculiari, non riscontrabili in altre realtà sociali organizzate. Spetta all’ufficio primaziale un ruolo di unità dell’intera Chiesa, di garanzia di fedeltà al deposito della fede e di promozione missionaria. Tale definizione della potestà primaziale implica anche le limitazioni insite nel suo contenuto. In questo contesto, si comprende come il rapporto fra il Romano Pontefice e le singole Chiese particolari sia del tutto peculiare, fondato su basi teologiche ed ecclesiologiche che impongono un approccio specifico, diverso da quello che si usa nello studio di altre realtà sociali o economiche, pubbliche o private. Concretamente, per quanto riguarda l’esercizio della potestà del Romano Pontefice sulle Chiese particolari conviene sempre tenere presente che si tratta di una potestà a sé, diversa da quella del Vescovo che il Romano Pontefice non sostituisce.

10. Per quanto riguarda il governo della Chiesa in materia di beni temporali, spetta al Romano Pontefice garantire che essi siano correttamente ordinati al fine loro proprio. La specificità dell’ufficio primaziale si manifesta tra l’altro nella possibilità di intervento, anche diretto (can. 333 § 1) (25) nei confronti di qualunque bene ecclesiastico, chiunque ne sia il proprietario, ma solo allo scopo di salvaguardarne l’utilità in rapporto ai fini dei beni temporali della Chiesa (can. 1254, § 2) (26).
Addirittura, come avviene nella società civile, anche nella Chiesa la funzione pubblica della proprietà dei beni può legittimare, in casi limite, degli interventi straordinari da parte dell’autorità competente, che potrebbero perfino arrivare all’espropriazione; tale potere, di cui gode il Romano Pontefice, va inteso nel rispetto della natura sopra ricordata della potestà primaziale e delle condizioni di giustizia limite nell’esistenza di una proprietà di cui sono titolari le singole persone giuridiche.
Giova ribadire che il fondamento e la finalità di questo potere di intervento si trovano sempre nella funzione del Sommo Pontefice di provvedere al governo supremo della Chiesa, come sopra descritto, e non nella titolarità del dominio sui beni ecclesiastici; perfino nel caso straordinario dell’espropriazione, si tratta di un intervento di natura giurisdizionale (basato sul peculiare potere del Papa sopra descritto), anziché di potere dominicale sulla cosa, proprio perché è una «espropriazione ».

GLI ATTI DI GIURISDIZIONE DELLA SANTA SEDE SUI BENI ECCLESIASTICI.

11. Il Codice di Diritto Canonico prevede alcuni atti di giurisdizione specifici della Santa Sede nell’esercizio della sua funzione di governo in materia di beni temporali. La Sede Apostolica deve intervenire per la riduzione degli oneri o il trasferimento degli obblighi delle Messe (cann. 1308; 1309) (27), o la riduzione, il contenimento o la permuta delle volontà dei fedeli a favore di cause pie, in alcuni casi (can. 1310) (28). Tra questi atti di governo merita un’attenzione speciale la concessione di licenza per l’alienazione di alcuni beni ecclesiastici allo scopo di chiarire bene la natura giuridica di questi atti.

12. Il can. 1292 (29) stabilisce il requisito ad validitatem (agli effetti canonici) della licenza della Santa Sede per l’alienazione dei beni ecclesiastici, il cui valore superi la somma massima stabilita dalla Conferenza Episcopale (can. 1292, § 1) (3O). In Diritto canonico per licenza si intende la concessione fatta dall’autorità competente ad un soggetto per esercitare una facoltà od un diritto di cui egli è già titolare, ma l’esercizio del quale, per motivi di interesse pubblico, è condizionato a un controllo «esterno» al diritto stesso. In realtà, le licenze, e altri interventi amministrativi di questo tipo, non implicano l’assunzione in proprio del contenuto del progetto per il quale la licenza o il nulla osta sono stati rilasciati.
Quando la Santa Sede accorda la licenza per un’alienazione di beni ecclesiastici, essa non si assume le eventuali responsabilità economiche relative all’alienazione, ma soltanto garantisce che l’alienazione è congruente con le finalità del patrimonio ecclesiastico. La responsabilità derivata dal suo intervento si riferisce esclusivamente al retto esercizio della potestà della Chiesa. La licenza, dunque, di cui ora si tratta non e un atto di dominio patrimoniale, bensì di potestà amministrativa, mirante a garantire il buon utilizzo dei beni delle persone giuridiche pubbliche nella Chiesa.

13. In sintesi, poiché la funzione primaziale riguardo i beni ecclesiastici rientra nella sfera pubblica del governo della Chiesa, il Romano Pontefice non è affatto tenuto a rispondere per le conseguenze degli atti di amministrazione economica posti da gli amministratori immediati dei beni delle diverse persone giuridiche, appunto perché non ne è l’amministratore nel senso del Diritto privato, ma lo è vi primatus regiminis, in forza della sua posizione pubblica nella Chiesa.

NOTE

(1) Nel testo si fa riferimento al Codice di Diritto Canonico (CIC) rinviando in nota le indicazioni in merito al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO).
(2) Cann. 1007; 1009, § 1 CCEO.
(3) Cann. 1008, § 2; 1010 CCEO.
(4) Cann. 920-930 CCEO.
(5) Can. 923 CCEO.
(6) Can. 921, § 2 CCBO.
(7) Can. 921, § 2 CCEO.
(8) Can. 1009, § 2 CCEO.
(9) Can. 1008, § 2 CCEO.
(10) Can. 1023 CCEO.
(11) Can. 1008, § 1 CCEO.
(12) Can. 1022 CCEO.
(13) Can. 201 CCEO.
(14) Circa la rappresentanza canonica degli enti ecclesiastici si tenga presente il principio generale offerto dal can. 118 che recita: «Rappresentano la persona giuridica pubblica, agendo a suo nome, coloro ai quali tale competenza è riconosciuta dal diritto universale o particolare oppure dai propri statuti; rappresentano la persona giuridica privata coloro cui la medesima competenza è attribuita attraverso gli statuti». Il principio espresso da tale canone fornisce un valido criterio per l’individuazione dei legali rappresentanti degli enti ecclesiastici: alcuni sono determinati dalla legge, altri dagli statuti o dalle tavole di fondazione. Rileviamo che gli amministratori del patrimonio ecclesiastico non necessariamente si identificano con i rappresentanti legali. Ad esempio: i beni della diocesi sono amministrati dall’economo diocesano sotto l’autorità del Vescovo (can. 494, § 3), ma il rappresentante legale della diocesi è il Vescovo; le persone giuridiche amministrate da organi collegiali hanno una persona fisica come rappresentante legale. Ora ci si chiede: l’Ordinario può supplire i rappresentanti legali diretti degli enti ecclesiastici? In merito all’amministrazione dei beni delle persone giuridiche pubbliche si deve fare riferimento a due canoni: il 1276 e il 1279. Dal disposto di questi due canoni possiamo dedurre che il Codice di Diritto Canonico non è orientato e non contiene una norma specifica che attribuisca in modo diretto ed esplicito all’Ordinario il potere di supplenza nella rappresentanza degli enti ecclesiastici, persone giuridiche pubbliche. La norma canonica stabilisce che l’Ordinario può supplire la rappresentanza solo nel caso di negligenza del rappresentante legale, oppure se ciò gli è attribuito dal diritto particolare o dagli statuti. Per quanto riguarda le persone giuridiche private, posto il principio riportato dal can. 1257, secondo il quale i beni temporali delle persone giuridiche private non sono beni ecclesiastici in senso tecnico e sono retti dai propri statuti, in linea generale va affermato che l’Ordinario non può supplire i legali rappresentanti se ciò non è esplicitamente contemplato negli statuti o nei decreti di costituzione. A norma del Diritto canonico l’intervento dell’Ordinario è possibile per i beni donati o lasciati in ordine a cause pie (cf. cann. 325, § 2; 1301). In merito all’ambito giudiziale è necessario riferirsi al can. 1480; in linea generale l’Ordinario nei giudizi, in caso di mancanza o di negligenza, può supplire i rappresentanti legali di qualsiasi persona giuridica a lui soggetta. Di fatto, però, se non può essere rappresentante legale sostitutivo di una persona giuridica privata per i beni come è possibile che intervenga sul piano processuale? Da quanto fin qui indicato sembra che si debbano desumere le seguenti conclusioni in ordine al coinvolgimento nella responsabilità oggettiva del Vescovo, o comunque del Superiore competente, in merito agli atti amministrativi compiuti da un rappresentante legale degli enti ecclesiastici a lui soggetti. Se il legale rappresentante agisce nel proprio ambito di competenza, le sue eventuali negligenze non sono imputabili al suo superiore. Se il rappresentante legale porta a compimento un negozio giuridico contro le direttive del superiore, all’insaputa di questi, la responsabilità dell’atro non può essere imputata al superiore. Se il rappresentante legale agisce con la licenza prescritta del superiore falsificando la documentazione così da indurre in errore la buona fede, il superiore non può essere incolpato. Se il rappresentante legale, manifestando chiaramente i suoi propositi non corretti, agisce con la licenza prescritta del superiore diverrebbe logico un suo coinvolgimento di responsabilità. Va infine precisato che una cosa è la responsabilità delle persona, un’altra quella dell’ente.
(15) Can. 577 CCEO.
(16) Cann. 1022; 1023 CCEO.
(17) Can. 1022 CCEO.
(18) Cann. 1031; 1024; 1029; 1036 CCEO.
(19) Can. 1022 CCEO.
20) Can. 1023 CCEO.
(21) Can. 1045 CCEO.
(22) Cfr. Communicationes V (1973), 97.
(23) Summa Theologiae, II-II, q. 10, art. 1 ad 7.
(24)Can. 45, § 1 CCEO.
(23)Can. 45, § 1 CCEO.
(26)Can. 1007 CEEO.
(27) Cann. 1052; 1053 CCEO.
(28) Can. 1054 CCEO.
(29) Can. 1036 CCEO.
(30) Can. 1036, § 1 CCEO. Tale licenza è richiesta anche per alienare ex voto donati alla Chiesa o di cose preziose per arte e per storia.