Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 17 Maggio 2005

Sentenza 18 aprile 2005, n.1762

Consiglio di Stato. Sezione VI. Sentenza 18 aprile 2005, n. 1762: “Nomina dei Docenti dell’Università Cattolica: il gradimento da parte dell’autorità ecclesiastica costituisce presupposto di legittimità non sindacabile”.

Premesso in fatto

1. La Facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha pubblicato il bando per l’affidamento dell’insegnamento di “Filosofia del diritto”, per l’anno accademico 1998-1999.
Al termine del procedimento, il Consiglio della Facoltà ha conferito l’incarico al prof. Bruno Montanari.

2. Col ricorso n. 303 del 1999 (proposto al TAR per la Lombardia), gli atti del procedimento e lo Statuto dell’Università sono stati impugnati dal prof. Luigi Lombardi Vallauri, il quale ne ha lamentato l’illegittimità, per la parte in cui la nomina dei docenti è subordinata al gradimento della Autorità ecclesiastica.
Il TAR, con la sentenza n. 7027 del 2001, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

3. Con l’appello in esame, il prof. Lombardi Vallauri ha impugnato la sentenza del TAR ed ha chiesto che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di primo grado.
L’Università Cattolica del Sacro Cuore si è costituita in giudizio ed ha chiesto che il gravame sia respinto.
Le parti, nel corso del giudizio, hanno depositato memorie difensive, con cui hanno illustrato le questioni controverse ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni.
Il prof. Montanari non si è costituito nella presente fase del giudizio.

4. All’udienza del 1° febbraio 2005, la causa è stata trattenuta in decisione.

Considerato in diritto

1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità degli atti con cui la Facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha affidato al prof. Bruno Montanari l’insegnamento di “Filosofia del diritto”, per l’anno accademico 1998-1999.
L’odierno appellante, col ricorso di primo grado (proposto al TAR per la Lombardia), ha impugnato gli atti che hanno condotto a tale affidamento, nonché lo Statuto dell’Università.
Egli ha lamentato che la sua domanda non è stata presa in esame nella seduta del 4 novembre 1998, esclusivamente perché la Congregazione per l’educazione cattolica, avvalendosi delle prerogative previste dall’articolo 45 dello Statuto, non ha dato il proprio gradimento all’incarico.
Poiché il TAR ha respinto il suo ricorso, col gravame in esame l’appellante ha chiesto che siano accolte le censure di primo grado.
Con i primi tre motivi, egli ha lamentato l’illegittimità degli atti che hanno condotto alla mancata valutazione della sua domanda, col quarto ha dedotto che la nomina del controinteressato sarebbe viziata per illegittimità derivata.

2. Col primo motivo, l’appellante ha lamentato la violazione dell’art. 10, n. 3, dell’Accordo di revisione del Concordato tra la Santa Sede e l’Italia e del punto 6 del protocollo addizionale, nonché vari profili di eccesso di potere, poiché:
a) il Consiglio di Facoltà – potendo giungere anche a conclusioni diverse – avrebbe dovuto chiedere alla Santa Sede le ragioni poste a base dei mancato gradimento, e non limitarsi a prenderne atto;
b) la valutazione della Santa Sede sul “profilo religioso”, ai sensi dell’art. 10, n. 3, non costituisce un fatto giuridico in senso stretto proveniente da un soggetto estraneo all’ordinamento italiano, ma si esprime in un atto da motivare, potendo tal giudice amministrativo verificare se «la motivazione risulti effettivamente legata al conflitto ideologico tra gli orientamenti o i comportamenti dei docente e gli orientamenti o indirizzi dell’Università confessionale»;
c) le Università confessionali e quelle caratterizzate ideologicamente possono estromettere un professore solo esponendo le relative ragioni.
Pertanto, la sentenza impugnata avrebbe dovuto ritenere insufficiente la motivazione della determinazione dell’Università di non esaminare la sua domanda.
Col secondo motivo, l’appellante ha lamentato ulteriori profili di eccesso di potere e la violazione degli articoli 2, 3, 7, 19, 24 e 33 della Costituzione, poiché:
a) nel corso dell’indagine della Congregazione per l’educazione cattolica, egli «non è stato posto in grado di conoscere i punti di contrasto delle proprie opinioni e dei propri insegnamenti rispetto alla dottrina cattolica e di discutere sull’effettiva sussistenza, gravità, fondatezza del contrasto» (perché vi è stato solo un colloquio con un incaricato della Congregazione, «che si è limitato a segnalargli a voce una serie di punti sui quali gli ignoti inquirenti della Congregazione avrebbero rinvenuto un contrasto con la dottrina cattolica»);
b) sarebbero così stati violati i suoi diritti inviolabili «ad una giusta procedura di contestazione e ad una connessa possibilità di difesa», mentre l’istruttoria e il contraddittorio sono essenziali, come chiarito dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n, 18 del 1982;
c) le norme del Concordato vanno interpretate in conformità al principio di laicità dello Stato e all’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (sicché la procedura seguita «si traduce nella violazione di fondamentali diritti umani, procedurali e indirettamente anche sostanziali»).
Col terzo motivo, è lamentata la violazione degli articoli 1, 17, 198, 199 e 201 del testo unico approvato col regio decreto n. 1592 del 1953, e di altre leggi riguardanti l’istruzione universitaria, il procedimento amministrativo e la salvaguardia dei diritti umani.
Ad avviso dell’appellante, ove dovessero prevalere l’art. 10 dell’Accordo del 1984 e il Protocollo addizionale, vi sarebbe:
— la lesione dei diritti fondamentali e inviolabili dell’uomo (che anche le Università ideologicamente caratterizzate devono rispettare) e dei diritti di libertà di pensiero e di pensiero religioso;
– una grave lesione dell’autonomia della stessa Università confessionale, «compressa da un atto promanante da un soggetto terzo.

3. Ritiene la Sezione che i tre articolati motivi, come sopra sintetizzati, vadano esaminati congiuntamente, per la loro stretta connessione.

4. Sul piano normativo, va premesso che l’Accordo di revisione del Concordato tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (cui è stata data ratifica ed esecuzione con la legge 25 marzo 1985, n. 121) ha disposto:
— all’articolo 10, n. 3, che «le nomine dei docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e dei dipendenti istituti sono subordinate al gradimento, sotto il profilo religioso, della competente autorità ecclesiastica»;
— nel Protocollo addizionale, che, «in relazione all’articolo 10», «la Repubblica italiana, nell’interpretazione del n. 3 – che non innova l’articolo 38 del Concordato dell’11 febbraio 1929 – si atterrà alla sentenza 195/1972 della Corte costituzionale relativa al medesimo articolo».
Gli organi amministrativi e quelli giurisdizionali della Repubblica, in sede di applicazione del medesimo art. 10, non si possono pertanto discostare dai principi affermati dalla Corte Costituzionale n. 195 del 1972, circa l’ambito di applicazione dell’art. 38 del Concordato.

5. Ciò posto, risultano infondate le censure dell’appellante.

5.1. L’Accordo e il Protocollo addizionale – nel considerare insuscettibili di modifiche unilaterali i principi enunciati dalla Corte Costituzionale sulla portata dell’art. 38 del Concordato – hanno ribadito il peculiare status dell’Università Cattolica, i cui docenti possono essere nominati dai suoi organi solo ove risulti il gradimento della competente autorità ecclesiastica.
In ordine alla rilevanza di tale gradimento, la Corte Costituzionale (con la sentenza ai cui principi si è richiamato nel Protocollo addizionale) ha osservato che:
a) «la legittima esistenza di libere università, caratterizzate dalla finalità di diffondere un credo religioso, è senza dubbio uno strumento di libertà:… ove l’ordinamento imponesse ad una siffatta università di avvalersi e di continuare ad avvalersi dell’opera di docenti non ispirati dallo stesso credo, tale disciplina fatalmente si risolverebbe nella violazione della fondamentale libertà di religione di quanti hanno dato vita o concorrano alla vita della scuola confessionale»;
b) «la libertà dei cattolici sarebbe gravemente compromessa», ove l’Università Cattolica fosse tenuta ad instaurare «un rapporto con un docente che … non ne condivida le fondamentali e caratterizzanti finalità. Invero, il docente che accetta di insegnare in una università confessionalmente o ideologicamente caratterizzata lo fa per un atto di libero consenso, che implica l’adesione ai principi e alle finalità cui quella istituzione scolastica è informata»;
c) l’art. 33 della Costituzione consente a soggetti diversi dallo Stato «la creazione di università libere, che possono essere confessionali o comunque ideologicamente caratterizzate», dal che «deriva necessariamente che la libertà di insegnamento da parte dei singoli docenti – libertà pienamente garantita nelle università statali – incontra nel particolare ordinamento di siffatte università», confessionalmente o ideologicamente caratterizzate, «limiti necessari a realizzarne le finalità»;
d) appare «di tutta evidenza che, negandosi ad una libera università ideologicamente qualificata il potere di scegliere i suoi docenti in base ad una valutazione della loro personalità e negandosi alla stessa il potere di recedente dal rapporto ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano … contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola, si mortificherebbe e si rinnegherebbe la libertà di questa, inconcepibile senza la titolarità di quei poteri», che «costituiscono certo una indiretta azione della libertà del docente ma non ne costituiscono violazione, perché libero è il docente di aderire, con il consenso alla chiamata, alle particolari finalità della scuola; libero è egli di recedere a sua scelta dal rapporto con essa quando tali finalità più non condivida».

5.2. Emerge da tali principi che le valutazioni della autorità ecclesiastica non sono sindacabili da alcuna autorità della Repubblica:
— il gradimento costituisce un fatto estraneo all’ordinamento italiano, la cui concreta sussistenza costituisce un presupposto di legittimità della nomina del docente (e non è sindacabile né dall’Università Cattolica, né dal giudice amministrativo ove un interessato impugni la nomina del docente, contestando il gradimento);
– l’assenza del gradimento obbliga gli organi dell’Università Cattolica a prenderne atto, nel senso che essi non possono attivare una fase del procedimento, volta ad accertare le ragioni di tale assenza, e neppure possono disporre la nomina, in contrasto con le determinazioni dell’autorità ecclesiastica.
Risultano dunque inammissibili tutte le censure volte a contestare – per inadeguata istruttoria, difetto di motivazione e assenza del giusto procedimento – la legittima
del diniego di gradimento, poiché questo è riconducibile ad un ordinamento diverso da quello interno e ad una Autorità (la Congregazione per l’educazione cattolica)
i cui atti non sono impugnabili innanzi ad un giudice italiano.
Risultano inoltre infondate le censure rivolte avverso l’art. 45 dello Statuto (coerente con le disposizioni dell’Accordo e del Protocollo addizionale), nonché contro gli atti del Consiglio di Facoltà (che ha doverosamente preso atto della mancanza del gradimento della autorità ecclesiastica e, non potendo in alcun modo sindacare tale determinazione, ha altrettanto doverosamente escluso di poter valutare la domanda dell’appellante).
Vanno infine respinte le censure che hanno richiamato l’esigenza – di rilevanza costituzionale – che un atto di estromissione possa avere luogo «solo esponendo le relative ragioni» e sulla base di un procedimento che consentisse la difesa.
Infatti, nella specie, il Consiglio di Facoltà non ha disposto la rimozione dall’incarico di docente, né ha adottato un provvedimento avente lato sensu natura sanzionatoria, ma si è limitato a prendere atto della non valutabilità di una domanda dell’interessato volta al conferimento dell’incarico, in ragione del mancato gradimento, prescritto dall’art. 10 dell’Accordo di revisione del concordato.

6. La reiezione dei primi tre motivi di appello rende irrilevante il quarto, con cui è stata dedotta l’illegittimità derivata del provvedimento che ha nominato un altro professore al termine del procedimento in questione.

7. Per le ragioni che precedono, l’appello nel suo complesso è infondato e va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti anche le spese e gli onorari del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 10772 del 2002.