Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Febbraio 2005

Sentenza 17 marzo 1998, n.2852

Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile. Sentenza 17 marzo 1998, n. 2852: “Giudizio di delibazione: disposizione di misure economiche provvisorie in favore di uno dei due coniugi”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Antonio SENSALE
Presidente
Antonio CATALANO Giovanni VERUCCI
Mario Rosario MORELLI Simonetta SOTGIU

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DONATELLO 11, presso l’avvocato FRANCO LIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO GUIDETTI, giusta delega in calce al ricorso;
Ricorrente

contro

B.D.A.C.;
Intimata

e sul II ricorso n. 08450-96 proposto da:

B.D.C.A., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE GIUSEPPE MAZZINI 134, presso l’avvocato MARCO CALABRESE, che la rappresenta e difende;
Controricorrente e Ricorrente incidentale

contro

C. P.;
Intimato

avverso la sentenza n. 713-96 della Corte d’Appello di MILANO, depositata l’08-03-96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09-12-97 dal Consigliere Dott. Mario Rosario MORELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per il rigetto del ricorso principale; l’inammissibilità del ricorso incidentale.

Fatto

P. F. E. C. ricorre per cassazione avverso la sentenza, in data 8 marzo 1996, della Corte d’Appello di Milano che – nel dichiarare efficace in Italia la sentenza 15 ottobre 1993 del Tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità, per suo difetto di consenso, del matrimonio in precedenza contratto con A. C. B. – lo ha contestualmente, e in via provvisoria, dichiarato “tenuto a corrispondere alla B. la somma di 110 milioni di lire a titolo di indennità di cui all’art. 129 bis cod. civ.”.
L’intimata si è costituita con deposito di controricorso ed ha a sua volta, proposto ricorso incidentale “condizionato”, per il riconoscimento del titolo indennitario anche alla stregua dell’art. 129 c.c., in ragione della “malafede” (da cui prescinde il successivo art. 129 bis) attribuibile, invece, al C..

Diritto

1. I due ricorsi, vanno previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
2. Il ricorso incidentale e l’unito controricorso vanno, peraltro, dichiarati inammissibili perché la difesa della ricorrente non ha depositato la procura notarile in base alla quale, in detti atti, ha dichiarato di agire.
3. In premessa, quanto al quadro normativo di riferimento, va precisato che il provvedimento, della cui legittimità qui si dissente, risulta adottato sulla base dell’art. 8 n. 2 del Concordato (l. 25 marzo 1985 n. 121), che appunto riconosce alla Corte d’Appello, in sede di delibazione di sentenza del Tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di matrimonio religioso, il potere di disporre, in via provvisoria, una congrua indennità e la corresponsione di alimenti al coniuge in buona fede.
– Trattasi quindi di provvedimento a natura anticipatoria (cfr. Cass. nn. 8477, 8982-92), diretto cioè ad assicurare preventivamente la pratica fruttuosità della decisione definitiva nella specie, sulla domanda di corresponsione di indennizzo ex artt. 129, 129 bis c.c. formulata dalla ex moglie! ed è subordinato all’accertamento, da parte della Corte, in via puramente delibatoria, sia del diritto del richiedente, sia del pericolo di pregiudizio alla sua attuazione in pendenza del giudizio per farlo valere in via ordinaria.
4. In dichiarata applicazione della suddetta normativa, nel giudizio a quo, la Corte milanese ha in particolare rilevato e ritenuto:
a) quanto al “fumus boni iuris”, che l'”incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio” (di cui al punto 3 del canone 1095), nella specie conseguente allo stato di tossicodipendenza del C. – esclusivamente in ragione della quale era stata dichiarata la nullità del vincolo dal Tribunale rotale – non equivaleva alla “incapacità di intendere e di volere” invocata ora dallo stesso C. per escludere la propria “imputabilità” e conseguente responsabilità in ordine alla nullità del matrimonio. Emergendo, tra l’altro, dalla sentenza ecclesiastica, che “il C., durante il fidanzamento, si rendeva perfettamente conto della sua situazione e perciò stesso temeva fortemente di essere inadeguata alle responsabilità che si assumeva e che, con tale consapevolezza ed i conseguenti timori, egli decise di contrarre matrimonio soprattutto nella ricerca di una alternativa di vita, così finalizzando il coniugio ai suoi personali bisogni”;
che, poi era ben “credibile che la B. – non informata delle condizioni del fidanzato – non fosse stata in grado con la normale diligenza di rendersene personalmente conto…..se si considera che, giusto le stesse dichiarazioni del C., quest’ultimo non soltanto ricorreva a bugie e sotterfugi per celare la sua condizione, ma di fatto era in grado di celarla dal momento che poteva sempre disporre della droga che gli era necessaria”, procuratagli dai suoi facoltosi genitori;
b) quanto al “periculum in mora”, che un tale pericolo era dato desumere dal fatto che il C., di cui pur risultava un persistente elevato tenore di vita (ancorché con l’appoggio familiare tentasse di dissimularlo), aveva smesso di corrispondere alla B. sia l’assegno di L. 2.500.000, che mensilmente le accreditava in conto nel periodo antecedente alla instaurazione del giudizio ecclesiastico, sia il più modesto assegno fissato in sede di separazione ex art. 156 c.c., “mostrando anche con il successivo suo contegno processuale l’intento di sottrarsi all’adempimento dei propri obblighi”;
c) in ordine al “quantum”; che l’importo della somma – che poteva provvisoriamente quindi riconoscersi alla richiedente, a carico dell’ex coniuge, per evitarle di rimanere sprovvista di mezzi economici nel periodo intercorrente tra la pronunzia di delibazione della sentenza di nullità del matrimonio e la conclusione del giudizio sulla domanda indennitaria – andava correlata al “mantenimento per tre anni, ai sensi del menzionato art. 129 c.c., per cui (sulla base della capacità economica dell’obbligato e delle pregresse erogazioni) poteva liquidarsi in complessivi 110 milioni.
5. Contro questa statuizione ricorre appunto ora il C. con due mezzi di cassazione.
In particolare, egli lamenta con il primo motivo (incentrato sulla dedotta violazione dell’art. 129 bis c.c.) che abbia errato il Collegio a quo nel ritenere la sua “capacità di intendere e di volere” al momento delle nozze, sia perché una tale capacità sembrerebbe esclusa dal Tribunale ecclesiastico in motivazione (ancorché non anche in dispositivo) della sentenza di nullità, sia perché sarebbe comunque “contrario ad ogni logica” ritenere responsabile un giovane di 25 anni che “dall’età di 15 anni, a causa della nostra società, cominciò a far uso della droga”.
E si duole poi, con il secondo motivo (che introduce una censura di vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), che sia irrazionale ed apodittica la misura dell’indennizzo stabilita dalla Corte romana.
6. L’impugnazione così articolata – senz’altro inammissibile nel suo primo mezzo, volto a censurare un provvedimento provvisorio di natura cautelare ed in termini comunque assolutamente generici e privi di effettivo contenuto critico – è infondata, e in parte inammissibile, anche nel residuo suo primo motivo.
Mentre, infatti, la pretesa del ricorrente di ricondurre la sua asserita incapacità di intendere e di volere alla stessa sentenza ecclesiastica – di cui ha viceversa chiesto dichiararsi l’efficacia in relazione al decisum suo proprio di nullità del vincolo per (mera) “incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio” – è, come tale, nuova rispetto alla domanda di delibazione, e perciò appunto inammissibile; le ulteriori argomentazioni – volte a sostenere la coincidenza, nella specie, delle due “incapacità” e l’irragionevolezza della attribuzione di forme di consapevolezza delle proprie azioni ad un drogato – sono, a loro volta, inammissibili per quanto in sostanza mirano ad ottenere il riesame di valutazioni di fatto riservate al giudice del merito (con la maggior latitudine per di più commessa al giudizio di tipo delibatorio), ed infondate per quanto poi censurano la motivazione del provvedimento a quo sul piano della coerenza logica, come rilievi generici, assolutamente (su quel piano) inconsistenti e perciò privi di alcuna concreta valenza critica.
7. Il ricorso va pertanto integralmente rigettato.
Nulla va disposto per le spese, in assenza di controparte ritualmente costituita.

P.Q.M

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale e rigetta quello principale.
Nulla per le spese.