Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 29 Novembre 2004

Sentenza 12 marzo 2004, n.5131

Corte di Cassazione. Sezione Lavoro. Sentenza 12 marzo 2004, n. 5131: “Scuole private legalmente riconosciute: il licenziamento di un insegnante senza abilitazione non comporta diritto alla reintegrazione e al risarcimento del danno”.

(Omissis)

La Corte Suprema di Cassazione
Sezione Lavoro

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Natale CAPITANIO – Presidente
Dott. Attilio CELENTANO – Consigliere
Dott. Paolo STILE – Consigliere
Dott. Filippo CURCURUTO – rel. Consigliere
Dott. Saverio TOFFOLI – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

Sul ricorso proposto da:

A. L., elettivamente domiciliata in Roma Viale Giulio Cesare 118, presso lo studio dell’avvocato Maria Carla Vecchi, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
ricorrente

contro

P.I. S.A.;
intimato

avverso la sent. n. 17183/01 del Tribunale di Roma, depositata il 10 maggio 2001 – R.G.N. 15205/99;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 29 ottobre 2003 dal Consigliere Dott. Filippo Curcuruto;
udito il p.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Napoletano Giuseppe che ha concluso per il rigetto del ricorso.

In fatto

L.A., premettendo di aver svolto attività di insegnamento presso il P.I. S.A. e di essere stata licenziata il 30 agosto 1996 per affermata riduzione di orario a seguito di contrazione della popolazione scolastica, ha impugnato il licenziamento e ne ha denunziata l’illegittimità sotto due profili: la violazione dell’articolo 59 del contratto collettivo nazionale del settore, che prevede la preventiva riduzione dell’orario in esubero a diciotto ore per gli insegnanti delle stesse materie prima che si proceda a licenziamento per contrazione di ore; la violazione dell’articolo 61 dello stesso contratto, che attribuisce, a parità di titoli culturali, un diritto di prelazione agli insegnanti licenziati.
L’I. convenuto, costituendosi in giudizio ha eccepito che per la contrazione del numero degli studenti iscritti si era dovuto procedere al licenziamento di cinque insegnanti, fra i quali la A., tutti non forniti di abilitazione all’insegnamento. In riferimento alla mancanza di abilitazione da parte della A. deduceva comunque che il rapporto doveva considerarsi giuridicamente inesistente.
Il tribunale di Roma confermando la decisione pretorile di rigetto della domanda, osservava che in tema di insegnamento presso scuole private legalmente riconosciute, il possesso del titolo legale di abilitazione all’insegnamento da parte dei docenti costituisce condizione indispensabile per il conseguimento da parte delle scuole stesse dell’autorizzazione all’apertura e del riconoscimento legale e rappresenta altresì un requisito di validità dello stesso contratto di lavoro, contratto che può esser legittimamente risolto, con applicazione dell’art. 2126 c.c. per il periodo in cui esso ha avuto esecuzione, con la conseguenza che restano escluse per il rapporto di lavoro dedotto in giudizio le garanzie di cui alle legge n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970.
Di questa sentenza la A. chiede la cassazione sulla base di due motivi.
L’Intimato non ha svolto attività difensiva.

In diritto

Con il primo motivo di ricorso denunziando violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione degli artt. 3 della legge n. 604 del 1966 artt. 2118 e 2126 c.c., come pure omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5, , la ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che l’unica ragione posta a fondamento del recesso era l’asserito motivo oggettivo della contrazione della popolazione scolastica, con conseguente necessità della soppressione di posti di lavoro, e di non aver tenuto presente che la successiva eccezione dell’istituto in ordine alla nullità del rapporto altro non era che un tardivo ripensamento circa la validità del rapporto stesso, validità presupposta dagli stessi motivi posti a base del recesso.
Il motivo è infondato.
Non è controverso che la A. non possedesse la specifica abilitazione all’insegnamento, condizione per concedere alle scuole private l’autorizzazione all’apertura e il riconoscimento legale, a norma degli artt. 3 e 6 della legge n. 86 del 1942, e requisito di validità dello stesso contratto di lavoro.
Il giudice di merito ha tenuto conto della eccezione, introdotta dalla convenuta al momento della costituzione in giudizio, della nullità del rapporto fondata sull’assenza della detta abilitazione. Tale eccezione non costituisce violazione del principio di immutabilità nella causa del licenziamento, facendosi con essa valere non un fatto diverso da quello contestato e costituente, nella prospettazione, una diversa ragione di legittimità del licenziamento, bensì la mancanza dei presupposti per l’applicabilità stessa delle norme di tutela invocate dalla controparte, applicabilità che, del resto, avrebbe dovuto comunque esser verificata dal giudice. Ovviamente, la nullità o no del rapporto è questione che esula dalla disponibilità delle parti, sicché non ha rilievo la circostanza dell’intervenuto recesso per giustificato motivo, che la ricorrente vorrebbe veder valorizzata al fine di contestare l’esatto giudizio di nullità del rapporto, espresso dal giudice di merito, sull’assunto che la sua validità sarebbe stata implicitamente riconosciuta dalla controparte per il fatto stesso di esser receduta. Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. della legge n. 604 del 1966, in riferimento all’articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ricorrente addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che nel caso di rapporto di lavoro nudo alla lavoratrice sono precluse le azioni dirette ad ottenere la conservazione del posto di lavoro ma non quelle volte conseguire il risarcimento del danno. Erroneamente quindi il tribunale aveva negato il risarcimento del danno nella misura minima prevista dall’articolo 18 della legge n. 300 del 1970. Il motivo è infondato.
Al riguardo, come deciso da questa Corte in fattispecie analoga, riguardante il rapporto di praticantato giornalistico nullo perché svoltosi in difetto di formale iscrizione nel registro dei praticanti (Cass. 21 maggio 2002, n. 7461) deve infatti affermarsi che l’attività svolta dalla A. benché produttiva di effetti per il tempo in cui il suo rapporto ha avuto esecuzione, conformemente alle previsioni dell’art. 2126 c.c. come non può dar luogo a reintegrazione in caso di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto, stante la nullità dello stesso, non è idonea ad assicurare l’applicazione dell’invocato articolo 18 legge n. 300 del 1970 (attinenti ad una fattispecie tipica disciplinata dal legislatore con riferimento all’illegittimo recesso del datore di lavoro v. in proposito Cass. S.U. 8 ottobre 2002, n. 14381).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese dal momento che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; nulla per le spese.

(Omissis)