Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 25 Giugno 2004

Sentenza 10 gennaio 2002, n.7421

Corte di Cassazione. III Sezione Penale.
Sentenza 10 gennaio 2002, n. 1421: “Intolleranza religiosa o razziale: ai fini della punibilità è richiesto il dolo specifico”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVIGNANO GIUSEPPE
Presidente
1. Dott. POSTIGLIONE AMEDEO
Consigliere
2. Dott. QUITADAMO NICOLA
Consigliere
3. Dott. PICCIALLI LUIGI
Consigliere
4. Dott. FRANCO AMEDEO
Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

(omissis)

FATTO e DIRITTO

La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza del 24-5-2001, confermava la precedente condanna del Tribunale di Cagliari del 24-8-1998, pronunciata contro , , e , per avere costoro violato la legge 13-10-1975, n. 654, commettendo atti di violenza nei confronti di due cittadini singalesi, sulla spiaggia di Solanas, in Quartu Sant’Elena, il giorno di ferragosto del 1994, per motivi razziali ed etnici.
Contro questa sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge ed erronea motivazione in ordine alla sussistenza del fatto, alle modalità del suo svolgimento ed alla pretesa connotazione razziale, posto che essi conoscevano già in precedenza le persone extracomunitarie e mai avevano assunto atteggiamenti aggressivi od ingiuriosi contro di esse.
I ricorsi sono infondati e devono, perciò, essere rigettati, con la conseguente conferma della condanna.
La sussistenza del fatto e le modalità concrete del suo svolgimento, hanno formato oggetto di attento esame da parte dei giudici di merito del Tribunale di Cagliari e della Corte di Appello della stessa città, sicché non è possibile censurare davanti alla Corte di Cassazione la loro valutazione e quella delle prove (le dichiarazioni dei due nigeriani; la testimonianza delle persone presenti sulla spiaggia al momento della rissa; gli accertamenti dei Carabinieri subito intervenuti sul posto; ecc.).
La motivazione su questi aspetti appare sufficiente ed ispirata a corretti criteri logici e giuridici. Più delicata appare la questione sollevata dai ricorrenti in ordine alla sussistenza del movente discriminatorio e razziale, che sarebbe stato estraneo al pur grave episodio.
Su questo punto la Corte richiama il contenuto letterale e logico della condotta prevista e punita dall’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975 n. 654, come integrato dalla legge 25 giugno 1993 n. 205.
La Convenzione Internazionale approvata dalle N.U. il 21 dicembre 1965 obbliga gli Stati ad evitare nel loro ordinamento giuridico ogni forma di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Lo Stato italiano ha ottemperato al predetto obbligo internazionale con le leggi 13 ottobre 1975 n. 654 e 25 giugno 1993 n. 205.
Interessa in questa sede l’articolo 3, come modificato dall’art. 1 legge 205/93, che testualmente si riporta:
Discriminazione, odio e violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi
L’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, è sostituito dal seguente:
“ART. 3 – 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito con la reclusione da uno a quattro anni:
chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico;
chi, in qualsiasi modo, incita alla discriminazione o all’odio, o incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza, per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
La pena di cui al comma 1 è aumentata se il fatto è commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di propaganda, ovvero in pubbliche riunioni.
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione, all’odio o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da uno a cinque anni o, se l’organizzazione, associazione, movimento o gruppo ha tra i propri scopi l’incitamento alla violenza, con la reclusione da due a sette anni. Le pene sono aumentate per i capi e per i promotori di tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi”.
La finalità della legge risulta chiara dalla stessa intestazione dell’articolo: punire puntualmente i comportamenti di discriminazione, odio o violenza ispirati da motivi razziali, etnici, razziali o religiosi.
La condotta del reato comprende: la diffusione di idee; l’incitamento; la violenza e la provocazione alla violenza; l’organizzazione, associazione, movimento o gruppo per le finalità sopra indicate.
Gli autori del reato sono puniti quando fanno parte di una associazione per la sola appartenenza, mentre negli altri casi occorrerà provare la concreta esecuzione della condotta vietata, in una delle forme previste.
Il delitto è autonomo rispetto alle ipotesi di reato ordinarie del codice penale, anzi presenta un carattere di sussidiarietà solo per le ipotesi di configurabilità di un “più grave reato” (Cass. sez. 1, 16.6.1999, n. 7812, imp. ; Cass. Sez. 1, 2.6.1999, n. 1475, imp. ).
La discriminazione vietata comprende atti, individuali e collettivi, di incitamento alla offesa della dignità di persona di razza, etnia o religione diverse e comportamenti di effettiva offesa con parole, gesti e forme di violenza ispirati in modo univoco da intolleranza. Atti e comportamenti si traducono nella mortificazione della pari dignità culturale e sociale prendendo a pretesto lo status, il colore della pelle, l’origine etnica e geografica, la religione di determinate persone.
Si tratta di un delitto, caratterizzato da dolo specifico, ossia dalla coscienza e volontà di offendere l’altrui dignità umana in considerazione delle caratteristiche razziali, etniche e religiose.
Con la necessaria prudenza e diligenza ed obiettività caso per caso, il giudice dovrà valutare la condotta posta in essere nel suo contenuto non solo oggettivo, ma anche soggettivo, cercando di enucleare la finalità inspiratrice della condotta medesima.
Nel caso in esame non si è tratto – secondo i giudici di merito – di un occasionale e marginale diverbio tra giovani italiani ed extracomunitari e neppure di una normale rissa per cause specifiche, ma di una aggressione nata senza alcuna ragione plausibile e comunque non proporzionata, dopo il saluto di uno dei due senegalesi ad un gruppo di giovani sulla spiaggia. I due singalesi, cittadini extracomunitari, venditori della loro mercanzia sulla spiaggia, frequentata da molte persone, in pieno giorno, non avevano interesse ad attivare una rissa contro un numeroso gruppo di giovani italiani.
Questi ultimi non hanno dedotto uno specifico motivo di provocazione. Al contrario è partita dagli imputati una serie di offese ed ingiurie, con le frasi “brutti negri” vivete nel paese degli sciacalli”, accompagnate, al minimo cenno di autodifesa, da pugni e calci e dal lancio di una bottiglia di plastica.
Anzi è emerso, da precise e concordi testimonianze, che gli imputati, presenti sul posto, continuarono ad aggredire ed insultare i due singalesi, che furono protetti da alcuni bagnanti e riuscirono a mettersi in salvo presso un vicino giardino condominiale, fino al sopraggiungere dei Carabinieri.
I giudici di merito, con congrua motivazione, hanno ritenuto che ad ispirare la condotta aggressiva e violenta degli imputati sia stato un atteggiamento di intolleranza razziale, come ricavato non solo dalle dichiarazioni delle vittime, ma da precise testimonianze dei testi presenti al grave episodio.
I due extracomunitari si limitarono a difendersi prima di darsi alla fuga ed è risultata del tutto falsa l’accusa di di aver subito lesioni.
In questo contesto, la Corte di Cassazione ritiene che è stata data una lettura corretta della legge, sicché i ricorsi devono essere respinti.

P.Q.M

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 10.01.2002.
Depositata in Cancelleria il 28.02.2002.