Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 25 Febbraio 2004

Sentenza 18 ottobre 1993, n.10300

Cassazione Civile. Sezioni Unite. Sentenza 18 ottobre 1993, n. 10300.

(Zucconi Galli Fonseca; Sgroi)

Svolgimento del processo

Con citazione del 16 settembre 1989 Tommaso Buonviso conveniva dinanzi al giudice conciliatore di Grumo Appula l’Arciconfraternita del SS. Sacramento di Grumo Appula per sentir convalidare l’offerta reale relativa alla sua quota sociale del 1989, quale confratello, a seguito del rifiuto di riceversi la quota stessa.

L’Arciconfraternita si costituiva, deducendo che, a seguito di comportamenti dell’attore ritenuti non conformi al suo statuto, con atto del 21 marzo 1989, il Buonviso era stato sospeso dall’Arciconfraternita per un tempo indeterminato, fino a quando non avesse adempiuto all’obbligo assunto di rimuovere le salme di alcuni suoi congiunti dalla cappella dell’Arciconfraternita stessa; che, in tal modo, il Buonviso era incorso nelle sanzioni previste dall’art. 11 dello statuto. Successivamente, la Confraternita produceva il suo statuto, deduceva che il Buonviso era stato espulso con delibera del 13 marzo 1990, ed eccepiva l’incompetenza per materia del giudice adito, trattandosi di materia regolata dal diritto canonico e di competenza degli organi ecclesiastici.

Il giudice conciliatore, con sentenza del 15 luglio 1991, in accoglimento dell’eccezione dichiarava l’improponibilità dell’azione davanti al giudice italiano, per difetto di giurisdizione, per essere competente a decidere su tutte le questioni delle Confraternite religiose l’autorità ecclesiastica preposta.

Avverso la suddetta sentenza il Buonviso ha proposto ricorso per cassazione. L’Arciconfraternita ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo, il Buonviso denuncia la violazione delle norme che regolano le persone giuridiche private, nel cui novero rientra l’Arciconfraternita del SS. Sacramento di Grumo Appula, osservando che il procuratore di essa aveva esibito lo statuto, approvato con decreto reale dell’8 settembre 1876, riconoscendo la soggezione della Confraternita alle leggi dello Stato italiano, il quale ha il diritto di intervenire con le sue leggi ed i suoi giudici quando si verta su temi che non hanno carattere ecclesiastico ed esulano dai fini di religione e di culto, essendo lo Stato italiano indipendente, nel proprio ordine, dalla Chiesa cattolica, alla quale non è subordinato.

Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione delle norme che regolano la giurisdizione (art. 360 n. 1 c.p.c., in relazione all’art. 1206 c.c.), osservando che, nella specie si trattava di mora del creditore e cioè di rifiuto di riceversi il pagamento di una somma di denaro da parte del debitore (confratello) che intende estinguere la propria obbligazione e non già di impugnazione delle deliberazioni dell’Associazione, che il conciliatore avrebbe potuto conoscere incidenter tantum al fine di rilevare la legittimità o meno del comportamento dell’Arciconfraternita. D’altra parte, osserva il ricorrente, il codice di diritto canonico non prevede il caso di specie che, pertanto, se non fosse soggetto alla giurisdizione del giudice ordinario, resterebbe privo di regolamentazione.

Col terzo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa motivazione sull’oggetto della controversia, risultante dalla citazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), osservando che il conciliatore non ha tenuto conto che il creditore, una prima volta, respinse il vaglia postale 16 gennaio 1989, rimessogli dal debitore, immotivatamente; ed una terza volta, in data 13 febbraio 1989, con la semplice indicazione del portalettere “rifiutata dall’incaricato”, incorrendo nella mora del creditore, ex art. 1206 c.c.

Né l’affermazione, in sede di verbale di offerta reale del 10 marzo 1989, fatta dal creditore, di impossibilità di accettazione della somma, per essere stato il debitore sospeso dalla Confraternita oppure dalla Curia, può avere valore ai fini della legittimità del rifiuto, sia perché il 10 marzo 1989 la sospensione non era stata pronunciata (il provvedimento è del 20 marzo 1989), sia perché al momento della sospensione il diritto della Confraternita a riceversi la somma era già maturato e sia perché la sospensione non comporta la perdita dello status di socio, che viene perduto solo con l’espulsione definitiva.

Il conciliatore – conclude il ricorrente – avrebbe dovuto rilevare che, al momento dell’offerta reale, nessun motivo, neppure giustificato, sussisteva per il rifiuto.

Il ricorso è infondato, dovendosi dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in materia riservata alla competenza degli organi della Chiesa.

L’oggetto della lite è la convalida dell’offerta reale di una somma di denaro che il Buonviso afferma di dover pagare all’Arciconfraternita del SS. Sacramento di Grumo Appula, quale quota associativa; il dovere del Buonviso di pagare e il diritto della Arciconfraternita di ricevere il pagamento sono pertanto indissolubilmente legati alla esistenza e conformazione del vincolo associativo suddetto, il che comportava l’esame della posizione del debitore e del creditore, ai sensi dell’art. 1208 c.c., n. 1 e 2, che, fra i requisiti per la validità dell’offerta pongono i seguenti: che sia fatta al creditore capace di ricevere e che sia fatta da persona che può validamente adempiere. Il conciliatore non avrebbe mai potuto convalidare l’offerta, ai fini della mora del creditore e della liberazione del Buonviso ai sensi dell’art. 1207 c.c., comma 3, nonché dell’art. 1210, comma 2, c.c., senza esaminare la posizione reciproca delle parti in ordine al fondamento dell’obbligazione che si pretendeva di adempiere: la quota di associazione, che naturalmente presuppone il giudizio sull’esistenza ed efficacia del vincolo associativo, contestato dall’Arciconfraternita, per l’esistenza prima di una sospensione e poi di un’espulsione (entrambe, a loro volta, contestate dall’associato).

Ciò premesso, deve affermarsi che il giudizio sull’esistenza e sulle vicende del vincolo associativo (a seguito dei provvedimenti di sospensione e di espulsione) che lega un associato ad una Confraternita avente scopo esclusivo di religione e di culto, quale è quella del SS. Sacramento di Grumo Appula (come risulta dall’ultimo statuto prodotto), costituita nell’àmbito della Chiesa cattolica, si sottrae alla giurisdizione del giudice italiano, ai sensi della vigente legislazione (è ovviamente irrilevante il richiamo fatto dal ricorrente ad un decreto reale del 1876, anteriore ai Patti lateranensi, data la profonda differenza esistente fra il trattamento delle confraternite prima del Concordato e successivamente ad esso). Si può anche tralasciare il trattamento che le Confraternite di culto (salvo quanto si dirà infra, a proposito della disciplina transitoria) avevano sotto il vigore del Concordato del 1929 (art. 29 lett. c), nonché della legge n. 848 del 1929 (art. 17) e del regolamento 2 dicembre 1929 n. 2262 (art. 52); infatti, è intervenuta una nuova disciplina, ai sensi della l. 25 marzo 1985 n. 121 (ratifica ed esecuzione dell’accordo 18 febbraio 1984), della l. 20 maggio 1985 n. 206 (ratifica ed esecuzione del protocollo firmato a Roma il 15 novembre 1984) e della l. 20 maggio 1985 n. 222 (disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici).

La norma dell’art. 2 della legge n. 121 del 1985, secondo la quale è assicurata alla Chiesa la libertà della giurisdizione in materia ecclesiastica, non è da sola sufficiente per stabilire il difetto di giurisdizione del giudice italiano, potendo (in date materie “miste” e cioè di interesse anche civile) concorrere la giurisdizione ecclesiastica con quella civile. Occorre, pertanto, far capo alla disciplina specifica delle confraternite aventi scopo esclusivo o prevalente di culto, quale è quella di cui è causa, secondo lo statuto.

L’art. 71 della legge n. 222 del 1985 (al pari dell’art. 71 della legge n. 206 del 1985) stabilisce che le Confraternite non aventi scopo esclusivo o prevalente di culto continuano ad essere disciplinate dalla legge dello Stato, salva la competenza dell’autorità ecclesiastica per quanto riguarda le attività dirette a scopo di culto. Già da questa norma risulta – a contrario – che le confraternite aventi scopo esclusivo o prevalente di culto sono soggette, per quanto riguarda la loro attività diretta a scopi di culto, alla competenza dell’autorità ecclesiastica, senza ingerenza dell’autorità civile (anche sotto il profilo giurisdizionale).

Il comma 2 del cit. art. 71 dispone: “Per le confraternite esistenti al 7 giugno 1929 (quale è quella di cui è causa) per le quali non sia stato ancora emanato il decreto previsto dal comma 1 dell’art. 77 del regolamento approvato con regio decreto 2 dicembre 1929 n. 2262, restano in vigore le disposizioni del medesimo articolo”. Poiché non vi è prova dell’emanazione del suddetto decreto, dovrebbe applicarsi la disposizione richiamata, con la conseguenza che, in difetto della dichiarazione formale dello scopo esclusivo o prevalente di culto dovrebbe applicarsi la l. 17 luglio 1890 n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di beneficenza (art. 91).

La suddetta conclusione va però coordinata con la sentenza della Corte cost. 7 aprile 1988 n. 396 (successiva alle leggi del 1985) secondo la quale è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 38 cost., l’art. 1 della legge n. 6972 del 1890, nella parte in cui non prevede che le istituzioni di assistenza e di beneficenza – regionali ed infraregionali – possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tutti i requisiti di un’istituzione privata.

Non vi è, pertanto, nessun ostacolo all’applicazione alle Confraternite con scopo esclusivo o prevalente di culto dell’art. 10 legge n. 222 del 1985: “Le associazioni costituite o approvate dall’autorità ecclesiastica non riconoscibili a norma dell’art. precedente (e l’art. 9 non si applica alla Confraternita de qua, avente carattere locale) possono essere riconosciute alle condizioni previste dal codice civile. Esse restano in tutto regolate dalle leggi civili, salva la competenza dell’autorità ecclesiastica circa la loro attività di religione o di culto e i poteri della medesima in ordine agli organi statutari”.

Resta così fissato il regime di tali enti: finché non vi è il riconoscimento, sono soggetti alle legge civili sulle associazioni non riconosciute (art. 36, 42 c.c.), ma vi è un limite all’applicabilità della legge civile (e della conseguenziale giurisdizione civile) e cioè questa non può interferire con la competenza dell’autorità ecclesiastica (che è quindi di carattere esclusivo, rispetto a quella dell’autorità civile) circa la loro attività di religione o di culto; e neppure può interferire (essendo esclusiva la competenza della medesima autorità ecclesiastica) con i poteri che spettano ad essa “in ordine agli organi statutari”.

Tale disposizione si deve interpretare nel senso che ogni qualvolta vi sia un atto che interessa gli organi statutari dell’associazione ecclesiastica (inerente alla loro nomina ed al loro modo di essere organizzati) e si debba valutare un atto da tali organi statutari emanato, per regolare il vincolo associativo che lega il fedele all’associazione, lo Stato riconosce la esclusiva competenza dell’autorità ecclesiastica, non volendo in alcun modo interferire con l’organizzazione dell’associazione. In particolare, nel campo dell’esclusione del socio, l’organo statutario esercita un potere in largo senso “disciplinare”, attinente all’ordinamento interno dell’associazione con scopo di religione o di culto, nel quale lo Stato italiano non vuole interferire, lasciando ai competenti organi dell’autorità ecclesiastica la competenza a regolare e controllare ogni aspetto del rapporto associativo, in cui sono coinvolti “gli organi statutari”, soggetti al controllo che l’ordinamento ecclesiastico prevede, nelle varie sedi proprie, a cui lo Stato non intende sostituirsi, non volendo ingerirsi né nell’attività di religione e di culto, né nell’esplicazione dei poteri degli organi statutari.

Sembra di dover confermare la conclusione che era raggiunta sotto il vigore della precedente legislazione. Allora l’art. 29 lett. c) del Concordato disponeva che le Confraternite aventi scopo esclusivo o prevalente di culto dipendono dall’autorità ecclesiastica, per quanto riguarda il funzionamento e l’amministrazione, e si riteneva – allora – che era di competenza dell’autorità ecclesiastica il decidere le controversie circa l’ammissione o l’esclusione dei confratelli, l’ammontare ed il versamento dei contributi, ecc. La medesima conclusione deve affermarsi ora, con la nuova legge che intende far salva la competenza dell’autorità ecclesiastica (limitando l’applicazione della legge civile) nei termini già indicati, e cioè per tutto ciò che riguarda l’attività di religione o di culto e l’organizzazione e l’attività degli organi statutari.

Poiché, nella specie – come si è detto all’inizio – si tratta di stabilire se l’organo statutario (la Consulta) della Confraternita abbia bene (o meno) adottato i suoi provvedimenti di sospensione e di espulsione a carico del Buonviso, ne viene di conseguenza il difetto di giurisdizione del giudice italiano, con riguardo alla domanda del Buonviso. Con la suddetta integrazione della motivazione, la sentenza del conciliatore deve essere – pertanto – confermata.

(omissis)