Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Febbraio 2004

Sentenza 27 luglio 1993, n.8380

Cassazione Civile. Sezione Terza. Sentenza 27 luglio 1993, n. 8380.

(Sciolla Lagrange Pusterla; Varrone)

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15 ottobre 1988 il Pretore di Roma, non ravvisando i presupposti di cui all’art. 29 l. 392/78, rigettava la domanda con la quale la provincia italiana dell’Istituto delle suore Rave di Santa Elisabetta (ente ecclesiastico giuridicamente riconosciuto), proprietaria dell’immobile sito in Roma alla via dell’Olmata n. 9 (parte del quale era stato concesso in locazione con contratto decorrente dal 25 febbraio 1982 alla Cemon – Centro medicina omeopatica napoletano s.r.l.), aveva chiesto che fosse dichiarata la cessazione del rapporto alla prima scadenza del 25 febbraio 1988, intendendo destinare la porzione immobiliare locata a proprie attività istituzionali e/o ad abitazione delle suore piú giovani.

Proponeva appello il predetto ente ecclesiastico al quale resisteva la Cemon ed il Tribunale di Roma, con sentenza 8 febbraio 1990, lo accoglieva, dichiarando legittimo il diniego di rinnovazione della locazione de qua alla prima scadenza del 25 febbraio 1988 ex art 29, lett. b), L. n. 392 del 1978, condannando la società conduttrice al rilascio dell’immobile e compensando le spese del grado.

Riteneva il giudice del gravame che sulla base della documentazione prodotta solo in appello risultasse provato inequivocabilmente che l’ente persegue anche finalità istituzionali di assistenza agli infermi sotto il controllo della pubblica amministrazione, tali da attribuirgli connotati pubblicistici e che la sistemazione abitativa delle giovani suore nell’immobile in atto locato per provvedere alla loro formazione religiosa rappresentasse indubbiamente un mezzo per il perseguimento di tale fine assistenziale.

Ha proposto ricorso per cassazione la Cemon affidato a due motivi di censura; ha resistito l’ente con controricorso. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la Cemon, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 29 l. n. 392 del 1978 nonché il vizio della motivazione sul punto decisivo della controversia, in relazione all’art 360, nn. 3 e 5, c.p.c., formula una duplice censura, dolendosi in primo luogo che il giudice del gravame, andando in avviso contrario a quello di primo grado, abbia riconosciuto all’ente ecclesiastico la legittimazione ad agire in sede di diniego della rinnovazione del contratto locativo ex art. 29, lett. b), cit., equiparandolo così agli enti di diritto pubblico; e, inoltre, che detto giudice non abbia accertato se l’intendimento relativo alla dedotta utilizzazione (iuniorato) fosse serio e sopravvenuto.

(omissis)

Va a questo punto esaminata la prima censura del primo motivo, attinente alla legittimazione ad agire ex art. 28 e 29 l. n. 392 del 1978.

Questa censura deve ritenersi fondata. L’impugnata sentenza ha affermato che il perseguimento, da parte dell’ente, di finalità istituzionali di assistenza agli infermi sotto il controllo della pubblica amministrazione, importa l’attribuzione al suddetto ente, di “connotati pubblicistici”.

In altre parole, sembra di capire che non potendo attribuire all’ente religioso la qualità di pubblica amministrazione, o di ente pubblico o di diritto pubblico, il giudice romano gli abbia voluto attribuire comunque una connotazione pubblica in conseguenza delle finalità di carattere generale perseguite (assistenza ai lungodegenti) e limitatamente alla possibilità di negare il rinnovo di una locazione non abitativa.

Ma la tesi non regge. Già il dato letterale della disposizione (pubbliche amministrazioni, enti pubblici o di diritto pubblico) evidenzia, con la sua tassatività ed il carattere eccezionale, l’impossibilità di estendere la legittimazione ad altri soggetti ai quali tali qualità non possono essere riconosciute.

Ma, soprattutto, non è corretto attribuire natura pubblicistica agli enti che svolgono attività di assistenza e/o di beneficenza dopo che la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1 L. 17 luglio 1890 n. 6972 nella parte in cui non prevede che le Ipab regionali ed infraregionali possono continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato ove abbiano naturalmente tutti i requisiti di una istituzione privata; e che le sezioni unite di questa corte, uniformandosi a tale insegnamento, hanno a loro volta statuito che deve riconoscersi la qualità di enti privati e, quindi, la natura privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti, con la conseguenziale giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie ad esso inerenti, alle istituzioni di assistenza e beneficenza che, nel suddetto ambito regionale o infraregionale, non siano di diretta creazione statale, ivi incluse quelle di origine religiosa, come le “opere pie” (nella specie, ente opere laiche lauretane, con sede in Loreto) (Cass., sez. un., 18 novembre 1988, n. 6249, in Foro it., Rep. 1989, voce Istituzione pubbliche di assistenza, n. 9).

Ciò premesso, ha errato il giudice del gravame ad attribuire natura pubblica all’ente religioso de quo, che invece ha esclusivamente natura privatistica.

La censura va, pertanto, accolta (restando ovviamente assorbite le altre censure), con conseguente e correlata cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice – indicato in una diversa sezione dello stesso tribunale a quo – il quale provvederà ad un nuovo esame alla stregua del principio sopra enunciato.