Sentenza 09 ottobre 2001, n.12349
Cassazione Civile – Sezione Lavoro. Sentenza 9 ottobre 2001, n. 12349.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Saggio Antonio Presidente
Dott. D’Angelo Bruno Consigliere
Dott. Miani Canevari Fabrizio Consigliere
Dott. Balletti Bruno Consigliere
Dott. Di Lella Raffaele Cons. Relatore
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da
RIZZO PINNA EZIO elettivamente domiciliato in Roma, via Novenio Bucchi n. 7, presso lo studio dell’avv. Franco Cannizzaro che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso unitamente all’avv.to Antonino Cremona.
– ricorrente –
contro
E.F.A.L., Ente per la Formazione e l’Addestramento dei Lavoratori, in persona suo Presidente provinciale, Carmelo La Mantia, elettivamente domiciliato in Agrigento, via De Gasperi 1-A, presso lo studio dell’avv. Sergio D’Alessandro, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso incidentale
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento n. 604 del 10-3-2000 – RG 422-1999.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13-06-2001 dal Relatore Cons. Raffaele Di Lella;
Udito l’avv. Franco Cannizzaro;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marcello Matera, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, ed assorbito quello incidentale.
Fatto
Con ricorso al Pretore di Benevento, depositato in data 24-11-1993, Ezio Rizzo Pinna impugnava il licenziamento per giusta causa, intimatogli, in data 11-10-1993, dall’E.F.A.L., per avere falsamente indicato sul foglio delle presenze l’orario di entrata sul luogo di lavoro, e per essersi poi arbitrariamente allontanato dal posto di lavoro.
Il Pretore, in accoglimento della domanda, dichiarava la illegittimità del licenziamento, per violazioni attinenti la procedura disciplinare, ordinava la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e condannava l’E.F.A.L. al risarcimento del danno.
Il Tribunale di Benevento, in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’E.F.A.L., ha rigettato la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, confermando per il resto la decisione pretorile.
A fondamento della decisione, il giudice del gravame, nel confermare la illegittimità del provvedimento espulsivo per vizi della procedura disciplinare, ha tuttavia rilevato la inapplicabilità dell’art 18 legge n. 300 del 20 maggio 1970. Ha osservato al riguardo che, secondo quanto emerge dallo Statuto dell’Ente, l’E.F.A.L. svolge attività di istruzione senza fini di lucro, utilizzando esclusivamente i fondi erogati dalla Regione Sicilia, ed è privo pertanto del carattere della imprenditorialità, per cui nei suoi confronti, ai sensi dell’art 4 legge n. 108 dell’11 maggio 1990, non può trovare applicazione la invocata disposizione dello Statuto dei lavoratori. Ha evidenziato la infondatezza della censura di inammissibilità della eccezione relativa alla applicabilità dell’art 4 citato per essere stata tardivamente proposta, dovendo il giudice verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti che consentono l’ordine di reintegrazione.
Ha escluso la natura discriminatoria del licenziamento ex art 3 legge n. 108 dell’11 maggio 1990, non essendo stata fornita alcuna prova al riguardo.
Ha infine ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 4 legge n. 108 dell’11 maggio 1990, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui esclude il diritto alla reintegrazione nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori, rilevando come apparisse anzi doverosa la scelta legislativa di differenziare la tutela in considerazione della natura imprenditoriale o meno del datore di lavoro.
Avverso tale pronuncia Ezio Rizzo Pinna propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, ed illustrato con successiva memoria.
L’E.F.A.L. resiste con controricorso, e propone ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Diritto
Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Con il 1 motivo del ricorso Ezio Rizzo Pinna denuncia erronea e falsa applicazione dell’art 3 legge n. 108 dell’11-5-1990, in relazione all’art 4 legge 604 del 15-7-1966 e all’art 15 legge 300 del 20-5-1970, come modificato dall’art 13 legge 903 del 9-12-1977, in relazione all’art 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.
In particolare si duole che il giudice del gravame ha negato la natura discriminatoria del licenziamento, senza svolgere alcuna indagine e senza in alcun modo motivare circa la sussistenza, nel caso di specie, di un intento ritorsivo del datore di lavoro, quale emerge peraltro dalla comminazione di ben tre successivi provvedimenti espulsivi, tutti dichiarati illegittimi in sede giurisdizionale, così come ritualmente e tempestivamente dedotto.
Il motivo è infondato. Il giudice del merito, nell’escludere la valenza discriminatoria del licenziamento, ha evidenziato che non era stata fornita alcuna prova della denunciata volontà ritorsiva o persecutoria, essendosi il ricorrente limitato ad una generica affermazione della stessa, implicitamente è correttamente valutando in termini di inidoneità probatoria, ai fini che interessano, il denunciato ripetersi di provvedimenti espulsivi.
Tale valutazione appare corretta, in quanto la mera reiterazione di provvedimenti disciplinari, anche se successivamente annullati in sede giurisdizionale, non è di per se circostanza dalla quale può desumersi un intento ritorsivo (soprattutto quando, come nel caso di specie, non viene neppure precisata la causa della dichiarata illegittimità, nè se i provvedimenti disciplinari annullati siano gli unici adottati).
La reiterazione di provvedimenti disciplinari è dunque, di per sè, elemento neutro (potendo detti provvedimenti essere giustificati da persistenti comportamenti inadempienti del lavoratore, o da altri motivi), se non accompagnata da ulteriori elementi o deduzioni idonei ad individuare una volontà ritorsiva e ad evidenziare la riconducibilità alla stessa della suddetta reiterazione.
Inoltre, affinché la finalità ritorsiva possa (quale motivo illecito) comportare la nullità del provvedimento disciplinare è altresì necessario provare che detto provvedimento sia stato determinato esclusivamente da esso. Deve cioè potersi escludere la concorrenza di un motivo lecito.
Nel caso di specie, il ricorrente, essendosi limitato a dedurre nient’altro che la mera reiterazione di provvedimenti disciplinari poi annullati, non può fondatamente dolersi che il giudice del gravame non abbia assegnato a tale circostanza alcuna valenza probatoria di un ritenuto intento ritorsivo.
Con il 2 motivo del ricorso, il Rizzo Pinna denuncia violazione dell’art 437 2 comma c.p.c. e dell’art 416 3 comma c.p.c.
Sostiene il ricorrente che illegittimamente il giudice del gravame, a seguito di eccezione tardivamente proposta dal datore di lavoro, ha accertato d’ufficio (al fine di escludere, ai sensi dell’art 4 legge 108 dell’11-5-1990, la applicabilità dell’art 18 legge 300 del 20-5-1970) la natura non imprenditoriale dell’E.F.A.L., senza considerare che la previsione di cui all’art 4 introduce una deroga alla disciplina dei licenziamenti soggetta al regime delle eccezioni di parte e alle relative preclusioni, e che non può pertanto essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Il motivo di ricorso è infondato.
Come questa Corte ha di recente rilevato (Cass. 10640 dell’11-8-2000) la inapplicabilità ad un licenziamento della disciplina di cui all’art 18 legge 300 del 20-5-1970, in ragione dello svolgimento senza fine di lucro, da parte del datore di lavoro di attività politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione o di culto (art 4 legge 108 dell’11-5-1990) non costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, non facendosi valere con essa alcun diritto sostanziale di impugnazione (vedi Cass. S.U. n. 1099 del 3-2-1998). Non rientra cioè fra quelle eccezioni riservate alla esclusiva disponibilità delle parti, e può pertanto essere rilevata dal giudice d’ufficio anche in grado di appello, ovvero anche in caso di contumacia della parte.
Con il 3 motivo del ricorso Ezio Rizzo Pinna denuncia violazione e falsa applicazione dell’art 4 legge 108 dell’11-5-1990 e degli artt. 416 e 437 c.p.c.
Il ricorrente si duole che il giudice del gravame abbia ritenuto l’E.F.A.L. quale datore di lavoro non imprenditore che svolge senza fine di lucro attività di istruzione, senza che fosse stata dedotta dall’E.F.A.L., che aveva proposto la relativa eccezione, alcuna prova al riguardo, e senza svolgere alcuna indagine d’ufficio (in particolare senza disporre una consulenza tecnica), ed erroneamente imputando al ricorrente, su cui non gravava il relativo onere, di non aver provato, al fine di dimostrare la asserita natura imprenditoriale dell’E.F.A.L., che gli amministratori dell’ente avessero esercitato il proprio potere gestorio al di la dei limiti imposti dalle previsioni statutarie.
Anche il motivo in esame è infondato.
Ed il giudice del gravame, sulla base della documentazione probatoria acquisita al processo (lo statuto dell’E.F.A.L. e le convenzioni di cassa), ha accertato la natura non imprenditoriale dell’ente, e che lo stesso svolge istituzionalmente e senza scopo di lucro attività diretta alla formazione dei lavoratori.
Nè è vero che il giudice del merito avrebbe addossato al ricorrente un onere probatorio su di lui non gravante. Il giudice del gravame si è limitato ad osservare che, avendo il ricorrente lamentato la non corrispondenza della previsione statutaria al concreto agire dell’ente, sarebbe stato suo onere non limitarsi a tale affermazione, ma dedurre e provare elementi e circostanze idonee a confermarla.
Nè infine può imputarsi al giudice del gravame di non aver disposto ulteriori accertamenti d’ufficio, ed in particolare una consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice del merito, il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, la valutazione circa l’opportunità di disporre d’ufficio mezzi istruttori.
Con il 4 motivo del ricorso Ezio Rizzo Pinna solleva la eccezione di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art 4 legge 108 dell’11-5-1990, per contrasto con l’art 3 Cost., in quanto comporterebbe una grave discriminazione di trattamento fra lavoratori tutti dipendenti di imprese dotate di una struttura dimensionale sufficiente a superare la soglia quantitativa fissata dall’art. 18 legge 300 del 20-5-1970.
L’eccezione appare manifestamente infondata.
Come questa Corte ha recentemente osservato (Cass. 10640 dell’11-8-2000), è già stata giudicata non irragionevole, in riferimento all’art. 3 cost., nè in contrasto con il principio della tutela di cui all’art. 24 cost., la scelta disposta dall’art. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604, come modificato dall’art. 2 l. 11 maggio, 1990, n. 108, nella parte in cui prevede, per il datore di lavoro titolare di una piccola impresa, il diritto di scelta fra la riassunzione ed il risarcimento nei confronti del lavoratore illegittimamente licenziato, sussistendo in una piccola impresa esigenze di funzionalità delle unità produttive e di fiducia fra dipendente e titolare differenti rispetto alla situazione della grande impresa (Corte cost. 23 febbraio 1996, n. 44).
I medesimi argomenti sono validi, a maggior ragione, in relazione ai datori di lavoro non imprenditori, poiché i due tipi di organizzazione non sono comparabili. Appare inoltre, sia pure sotto un diverso profilo, pertinente al tema il rilievo di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 7 febbraio 2000, n. 46 (dichiarativa dell’ammissibilità della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione delle norme sulla reintegrazione nel posto di lavoro), nella parte in cui rileva che la tutela reale non ha copertura costituzionale, rappresentando solo uno dei possibili modi per realizzare la garanzia del diritto al lavoro.
Per effetto del rigetto del ricorso principale, non va esaminato il ricorso incidentale, proposto subordinatamente all’eventuale accoglimento di quello principale, e con il quale l’E.F.A.L., nel denunciare violazione e falsa applicazione dell’art 53 C.C.N.L. degli Operatori del Sistema Regionale e dell’art 2 legge 604 del 15-7-1966, sostiene che il Tribunale, nell’affermare la violazione del termine entro cui deve essere comunicato il provvedimento disciplinare, ha erroneamente considerato quale data di comunicazione non già quella di adozione del provvedimento o della sua spedizione, bensì quella della materiale consegna (primo motivo); e con il quale inoltre, nel denunciare violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge 604 del 15-7-1966, nonché omessa e insufficiente motivazione, si duole che il giudice del gravame abbia omesso di pronunciarsi sulla eccepita legittimità anche sotto il profilo del merito (secondo motivo).
Le spese del giudizio vanno posta a carico del ricorrente principale nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M
Riunisce i ricorsi;
Rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale;
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in L 76.000 oltre L 2.500.000 per onorari.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2001.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile, Sez. Lav.
Dossier:
Lavoro e Religione
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Discriminazione, Licenziamento, Provvedimenti disciplinari, Reintegrazione, Non profit, Efal, Attività di istruzione, Fine di culto o di religione
Natura:
Sentenza